Ma il vero terremoto siamo noi è la sicumera con la quale una finanza cieca non tiene conto di alcun limite, né di ambiente, né di risorse, immersa in una logica autistica che non guarda oltre se stessa. E’ la meccanica del profitto che rende fragili le strutture di ogni tipo, sabbioso il cemento, deboli i capannoni, impossibile la cura della storia, inarrivabile il futuro. E’ l’egoismo teorizzato come motore di ogni cosa che indebolisce gli argini delle difese, esalta la noncuranza verso i deboli.
Con enorme leggerezza abbiamo appena firmato tutto quello che ci hanno imposto, come se i forzieri delle banche siano l’unica realtà possibile, la cosa in sé che sta dietro al fenomeno sociale, ci siamo castrati con le nostre mani, anzi sono stati castrati i ceti popolari, siamo vittime della ybris finanziaria che con noncuranza e iniquità recita la commedia di un rigore che si ferma sulla soglia della ricchezza, della speranza in un’ insondabile crescita che la svendita di diritti dovrebbe garantire. E sebbene i conti non tornino, sebbene gli investimenti fantomatici e gli altrettanto fantomatici risparmi abbiano la taglia fissa e risibile dei cento miliardi, come suggeriti da un sor Pampurio del terzo millennio, arriva inaspettato un terremoto che rende ancora più arduo il traguardo. I danni sono da miliardi: o si aumenta la tassazione o si trasgrediscono i patti o si lasciano a se stesse le zone colpite. Abbiamo firmato il pareggio di bilancio senza fare i conti con l’oste della storia, abbiamo accettato una moneta che non possiamo gestire, ma che non abbiamo né la forza, né la volontà di gestire.
La terra trema, ma gli uomini tremano ancora di più.