IL TERZO SGUARDO n.17: La poesia sommersa. Giorgio Linguaglossa, “La nuova poesia modernista italiana. Per una critica della costruzione poetica”

Da Fabry2010

La poesia sommersa. Giorgio Linguaglossa, La nuova poesia modernista italiana. Per una critica della costruzione poetica, Roma, EdiLet – Edilazio Letteraria, 2010

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di Giuseppe Panella*

Linguaglossa si prova a tracciare in questo libro un ampio panorama della poesia emergente italiana e mette insieme autrici e autori assai diversi tra di loro utilizzando un ricco e ben costruito ventaglio di categorie critiche. Quello che importa, infatti, e che viene fuori dalla lettura di questo ben nutrito volume di analisi critica della poesia italiana dell’ultimo Novecento non è tanto la sua storia interna ed esclusiva quanto la sua fenomenologia concettualmente intesa. A Linguaglossa importa trovare delle nuove coordinate teoriche che possano sostituire quelle ormai logore e sepolte dello storicismo più frustro o del biografismo autoriale più stantio dato che, come scrive lo stesso critico, ci si trova ormai in una situazione oggi radicalmente diversa:

«La parola poetica del Moderno, che ha attraversato la destrutturazione dei linguaggi del Novecento, può essere definita, per analogia, come ciò che rimane di un esercito dopo una disastrosa sconfitta, come cristallizzazione di una carica energetica e di un’esperienza emotiva che sopravvive, come un’eredità rimossa, nella memoria storico-epocale. La parola poetica, sarebbe preferibile parlare di discorso poetico, nel corso del Novecento ha dovuto affrontare la sfida posta dall’insorgere dei linguaggi della modernità. La proliferazione dei linguaggi specialistici, di settore e di nicchia, dei linguaggi scientifici e sociologici ha costretto il discorso poetico dentro una sfottica forbice linguistica che si andava sempre più riducendo; i linguaggi diventavano sempre più incomunicanti nella misura in cui si assestavano come linguaggi di nicchia, linguaggi di settori, e quindi neutrali e neutralizzati, in una parola, infungibili e inutilizzabili dal discorso poetico. Si può affermare che l’ultima avanguardia che ha acuto sentore di tale problematica sia stata il surrealismo, che ha tentato una via di uscita attraverso una ars combinatoria dei linguaggi in comunicanti o mediante l’associazione libera dei linguaggi in comunicanti dell’inconscio. Oggi, nel bel mezzo della rivoluzione telematica, cominciamo ad avere consapevolezza che i linguaggi mediatici del secolo della rivoluzione post-industriale hanno posto definitivamente nel cassetto dei numismatici il discorso poetico inteso come discorso della tradizione lirica» (p. 11).

E’ l’incipit del libro e ben ne configura le coordinate di lavoro. Partendo da autori ben consolidati nel panorama poetico italiano e che hanno o concluso (come Giovanni Raboni) o sono alla fine della loro parabola lirica (salvo imprevedibili soluzioni e clamorose) come Andrea Zanzotto o Giuseppe Conte, Linguaglossa si spinge ad esplorare lidi nascosti e finora lambiti soltanto da correnti critico-letterarie assai marginali. Autori come Carlo Cipparrone o Pino Corbo o Nicolino Longo o Plinio Perilli o Pietro Civitareale e autrici come Lidia Are Caverni o Rosita Copioli o Gabriella Sica o la compianta Giovanna Sicari o la giovane Elena Ribet avevano certamente ricevuto finora interessanti riconoscimenti specifici ma mancavano ancora di una collocazione adeguata in un panorama critico articolato e coerente.

La fine della tradizione lirica, però, non significa per Linguaglossa la fine della poesia, anzi.

Il passaggio epocale, tuttavia, si sposta e si precisa non tanto come rifiuto o critica del Moderno come era potuta apparire nella grande tradizione lirica che dall’Ermetismo va giù giù fino allo sperimentalismo e al parlato poetico di autori come Roboni e Giudici ma nell’attraversamento della frontiera del post-moderno e la consapevolezza dell’annichilimento che pervade la logica della poesia contemporanea. E’ in autori come Roberto Bertoldo, ad esempio, e nel suo nullismo come filosofia del nichilismo decodificato (e applicato alla letteratura) che si trovano esempi lampanti di questa consapevolezza. Bertoldo si gioca la carta di uno scetticismo integrale che, però, invece di rinunciare e distruggere tutto, finisce di accettare tutto per poterlo re-identificare compiutamente.

Lo stesso accade in quelle che Linguaglossa definisce “linee laterali del secondo Novecento” e che trovano in un poeta come Alfredo De Palchi, poderoso critico del realismo lirico del secolo passato, un elemento di grande valore propositivo. Lo stesso avviene, ma spinto in una direzione maggiormente narrativa, nell’opera di Luciano Luisi che preferisce attivare un suo progetto di lettura poetica di un reale che non vuole costringere nella linea astratta ma configurare come un concreto cristallo di vita (non a caso è Racconto in versi il primo titolo della sua vasta produzione apparso da Guanda nel lontano 1949). Altrettanto laterale nel disegno di ermeneutica poetica generale è poi il vasto disegno di scrittura ascrivibile ad Alberto Bevilacqua anch’esso “laterale” rispetto alla linea “maggiore” della poesia secondo-novecentesca.

Linguaglossa esamina poi a partire da questi poeti ormai coerentemente situati all’interno di una parabola di poetica ben definita una serie di autori assai più giovani ma non per questo minori. Lo fa, ad esempio, mettendo a repentaglio la vastità di proposta letteratura di un poeta come Dante Maffia cui è dedicato uno dei capitoli più densi del volume. Il “realismo integrale” del poeta calabrese si regge su un modello di scrittura che vorrebbe salvare l’approccio lirico della tradizione italiana alla necessità di un mutamento di paradigma nell’umanesimo linguistico e letterario di quella stessa tradizione.

«La nuova poesia modernista di Dante Maffia risolveva così, con un colpo da maestro, la problematica che ha attraversato sotterraneamente tutto il secondo Novecento: la dicotomia del nome e della cosa (e il problema della verità come rispecchiamento del dato o della verità come custodia del senso), la subordinazione del significato al significante. Mafia avvicina il nome alla cosa (cioè la verità al senso) con la semplice presa d’atto che il policentrismo dell’io meglio risponde alle esigenze della pluridirezionalità del mondo della globalizzazione, e che la semplice assunzione della pluralità dell’io risolve d’un colpo la questione rimasta in sospeso nel Novecento: la costruzione di un discorso poetico in sintonia col moderno. Ed ecco che, appena posta la questione di un realismo integrale, si è risolto all’istante il problema di uno stile integrale che sappia coniugare l’alto e il basso, il sermo humilis e il sublime, la latitudine della dizione con la longitudine della metafora» (p. 52).

A partire dallo s-fondamento lirico di Maffia che gli permette di costruire una sorta di diga teorica nei confronti della deriva del post-moderno, il discorso critico di Linguaglossa si amplia e dilaga trovando e assemblando molte e diverse esperienze poetiche intorno ai nodi fondamentali del suo tracciato analitico e facendoli convergere verso una sorta di asse fondamentale di poetica vissuta.

Nei molti poeti e poetesse analizzate nel vasto affresco di Linguaglossa, allora, sarà possibile ritrovare momenti fondamentali della storia della poesia del secondo Novecento et ultra e comprendere come l’opera di ricucitura e disegno da lui realizzata sia stata lunga e difficile dati i forti caratteri di divaricazione esistenti tra molti di essi. Esistono delle linee di sviluppo, comunque, e il critico romano ben le evidenzia individuandole regionalmente e tematicamente, tra Lombardia e Calabria (da Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi a Carlo Cipparrone e Pino Corbo, tanto per fare pochi nomi esaustivi), tra la poesia escatologicamente provata e sofferta di taluni (Fornaretto Vieri, ad esempio, o il notevole Francesco Giuntini) e quella più luminosamente laica di molti autori impegnati nel cercare dei lumi nella notte del senso che avvolge uomini e vicende storiche di questo scorcio di millennio a venire (si tengano presenti a questo riguardo i nomi di Antonio Spagnuolo o di Plinio Perilli o quelli di di Anna Ventura o di Maria Benedetta Cerro). Ma non si possono trascurare autori meno marcati e più estrosi, più diffusi e distesi in chiave di allargamento di temi e di prospettive: Leopoldo Attolico, ad esempio, in chiave sempre tragicomica eppure ottimisticamente disponibile allo sberleffo nei confronti del Potere o Salvatore Martino con la sua disposizione alla teatralizzazione dell’anima o l’ironia distesa di Daniela Marcheschi oppure la metafisica quotidiana di Mario Specchio stretta tra il postermetismo di Luzi e il modello straordinariamente ravvicinato di Paul Celan. Una parziale conclusione può allora essere questa (anche se appartiene alle pagine iniziali del volume):

«Non sfugge alla nuova sensibilità poetica che i problemi del senso e della verità siano correlati e che affrontare l’uno significa implicitamente affrontare anche l’altro corno del problema, e che i due problemi sono in realtà un solo problema: quello della verità e del senso. La vera svolta della poesia contemporanea è data dal punto dove siamo arrivati: al punto di non ritorno al quale sono approdate le poetiche novecentesche che denegavano legittimità al binomio “verità” e “senso”» (pp. 39-40).

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*Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)



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