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di Giuseppe Panella*
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Emanuele Zinato chiarisce bene, fin da subito, la missione critica del secondo libro di Emiliano Alessandroni (di lui avevo già recensito positivamente il precedente La rivoluzione estetica di Antonio Gramsci e György Lukács, prefazione di Pietro Cataldi, Padova, Il Prato, 2011) :
«L’iiriducibilità della letteratura all’ideologia, che si palesa nelle icursioni estetiche di Marx e di Engels, è che informa di sé la tesi principale del libro di Alessandroni, è fondata su una nozione di ideologia come falsa coscienza soggettiva, ignoranza, inganno e mistificazione. L’ideologia, però, ha un doppio volto, come negli anni Venti ha dimostrato la ricerca di Pavel N. Medvedev, che chiamò idologemi (concetto-termine utilizzato ampiamente, ma con accezione negativa e in opposizione a Ferruccio Rossi-Landi, anche in Ideologie e strutture letterarie) quelle formazioni “parte della realtà sociale materiale che circonda l’uomo” imparentate con altri concetti, come temi e motivi socialmente condivisi, che pur essendo esterni alle categorie estetiche, costuiscono buona parte del “materiale grezzo” con cui si costruiscono i testi» (p. 19).
Al centro della trattazione contenuta nel volume appare esserci – come si può vedere dalle affermazioni di Zinato – il problema dell’ideologia letteraria e soprattutto di come essa transita e si incista nel testo, nella materialità della scrittura e del progetto che essa veicola attraverso l’opera.
Le argomentazioni e i problemi teorici sollevati da Emiliano Alessandroni – seguendo una linea di sviluppo che va dall’estetica marxista alla “teoria del rispecchiamento” di György Lukács, dalla riflessione marx-engelsiana sull’ideologia come “falsa coscienza” alla fondazione di una teoria della letteratura come prospettiva sociale e nazionalpopolare passando attraverso Hegel, De Sanctis e Gramsci – possono sembrare, tuttavia, ormai superati e residuali, consegnati, quindi, a una passata stagione della cultura italiana (e non soltanto italiana) di un tempo e non più riproponibili. Ma non è così: le questioni sollevate dallo studioso urbinate vengono affrontate, nuovamente e risolutamente, in una dimensione nuova e originale che tiene conto della necessità di avvicinarle al presente e dare ad essi una soluzione che non sia legata a contingenze di natura partitico-politica.
Alessandroni utilizza lo strumento dell’analisi testuale unendola a quello della ricostruzione storica per cercare di dare una risposta a uno dei quesiti più antichi (ma anche più tenaci a restare irrisolti) sulla natura dell’opera letteraria: Che cos’è il bello? Che cosa rende tale un’ opera d’arte? In che modo si può distinguere tra il suo livello artistico e la dimensione ideologica che l’avvolge e l’ attraversa? Tutte domande che nel corso del Novecento (per circoscrivere il campo vastissimo dell’argomentazione) hanno ricevuto risposte le più varie e quasi mai soddisfacenti.
Il problema della bellezza e della qualità del testo (e dell’opera d’arte in generale) culmina nella riflessione con cui si chiude la prima parte dove Alessandroni interroga Gramsci sulla vexata quaestio del rapporto tra forme e contenuti e si rivela più legato alla dimensione hegeliana del rapporto in oggetto piuttosto che a quella storicistico-crociana che dall’insegnamento del De Sanctis transita fino a Croce e a Gramsci che lo rielabora in chiave di critica sociale. A Hegel, l’autore chiederà successivamente aiuto per investigare il problema della diversità e sviluppo delle strutture letterarie e provarsi a compierne una catalogazione analitica e più rigorosa.
Ma è soprattutto sulla definizione di “ideologia” che, per Alessandroni, è necessario ritornare ancora, dato che si tratta a tutt’oggi di una nozione ancora tutt’affatto problematica e che necessita di un’ulteriore ricostruzione e verifica alla luce delle trasformazioni intervenute nella soggettività oggi operante (l’invito a confrontarsi con la scuola bachtiniana e la sua originaria elaborazione psicologico-strutturale permane e può condurre a livelli nuovi e più profondi di conoscenza dell’ideologia come forma strutturata e oggettiva della realtà sociale e personale).
Nella sua analisi iniziale, il giovane studioso aveva riflettuto sulla natura della bellezza e della sua forma costitutiva, riepilogando una tradizione che data dal Platone del dialogo Ippia maggiore giù giù fino a Kant, allo Hegel delle Lezioni di estetica, al De Sanctis dei Saggi sul realismo e i Quaderni del carcere di Gramsci, riprendendo un tema che ritorna periodicamente nelle riflessioni di carattere estetico. Dopo aver analizzato, invece, la nozione di ideologia e averla ricondotta alla sua matrice originaria, Alessandroni passa alla ricostruzione del problema delle strutture letterarie e della loro verifica di valore, introducendo l’elemento della qualità rispetto alla quantità:
«L’insistenza legittima sui fattori ideologici e di contingenza storica che inondano i giudizi di valore, la storicizzazione del prodotto artistico e della valutazione critica, non riesce a dar risposta o soluzione a un problema che già a suo tempo aveva sollevato Marx: “La difficoltà non consiste nel capire che l’arte e l’epica greca sono legate a certe forme di sviluppo sociale. La difficoltà è che esse continuano a suscitare in noi un godimento artistico e a valere sotto certi rapporti come norma e modello ineguagliabile”. Se non esistessero principi valutativi del bello in grado di resistere agli sballottamenti dei processi storici, i giudizi rimarrebbero semplicemente subalterni ai rapporti di forza in gioco, e vana diverrebbe a questo punto persino l’attività del critico: quest’ultima acquista difatti un senso soltanto quando nelle analisi delle opere letterarie contribuisce, con la propria operazione, a stabilire dei criteri valutativi estetici, il più possibile liberi dai condizionamenti che su di essi possono esercitare gli interessi immediasti delle forze in lotta» (p. 57).
Il nodo da sciogliere è, in realtà, pur sempre questo (proprio nel modo in cui lo pone Marx nell’ Einleitung del 1857 ai Grundrisse) ma lo studioso urbinate non si sottrae alla sfida.
Un modello di analisi critica su cui fondare il giudizio di valore è indispensabile e il tentativo di glissare, inoltre, risulterebbe inefficace. Una risposta che Alessandroni dà al problema è quella di individuare l’”intelligenza artistica” dell’autore, riuscendo a verificare il grado di immedesimazione e di comprensione dell’oggetto rappresentato dall’artista (dove ciò che viene gefühlt, sentito, tuttavia, è anche e contemporaneamente, oggetto del verstanden, la comprehensione della necessità dell’opera stessa). Questa forma di analisi critica che Alessandroni deduce direttamente dalla ricostruzione hegeliana dell’ Estetica comporta la capacità da parte dell’autore di esteriorizzare e rendere comprensibili i contenuti che ha prodotto interiormente e, quindi, di comunicarli.
Rielaborando questa categoria hegeliana e servendosi dagli strumenti offertigli da contributi critici assai più recenti come la ricostruzione dell’orientalismo da parte di Edward W. Said e i risultati emersi dagli studi legati al modello dei Cultural Studies, così come rifacendosi, inoltre, in linea di principio, all’analisi stilistico-figurale di Auerbach in Mimesis, Alessandroni analizza alcuni momenti della storia letteraria occidentale (i poemi omerici, il Faust di Goethe, la Tempesta di Shakespeare, Heart of Darkness di Conrad) e conclude con un richiamo alla dimensione “catartica” della letteratura. Riprendendo Gramsci, il cerchio si chiude: dall’analisi della bellezza alla sua funzione rigenerativa anche in ambito etico-sociale, il passo è breve. La necessità dell’arte come trasformazione della soggettività si coniuga alla sua dimensione estetica e permette alla critica letteraria di provare a conoscere i suoi meccanismi interni e più segreti.
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*Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)