Il terzo uomo (The Third Man, 1949)

Creato il 27 agosto 2015 da Af68 @AntonioFalcone1

Si apre oggi, giovedì 27 agosto, con il ritorno, nelle sale aderenti all’iniziativa, di The Third Man – Il terzo uomo, nella versione restaurata in 4K da Studiocanal, la terza stagione del progetto Il Cinema Ritrovato al Cinema, promosso dalla Cineteca di Bologna e Circuito Cinema per riportare in sala i grandi classici restaurati.
Il restauro della pellicola ha avuto la sua prima mondiale a maggio, al 68mo Festival di Cannes, mentre la prima italiana si è svolta il 28 giugno a Bologna, nell’ambito della XXIX edizione del festival Il Cinema Ritrovato, sempre promosso dalla Cineteca di Bologna.
Fra le punte di diamante tanto del genere noir, quanto del cinema inglese, cult movie il cui fascino è cresciuto nel tempo, Il terzo uomo nasce da una particolare e felice concatenazione di eventi. In primo luogo la sceneggiatura avvincente dello scrittore Graham Greene, cui collaborarono Orson Welles, anche magistrale interprete, e il regista del film Carol Reed (ambedue non accreditati). Quest’ ultimo fu particolarmente abile nell’avallare mistero ed introspezione psicologica, sfruttando lo scenario postbellico della città di Vienna, ripresa con un obiettivo grandangolare in ogni suo anfratto, anche il più insignificante, in particolare le fogne, sorta di seconda metropoli, metafora di qualsivoglia sordida attività umana che si svolge nell’ombra dell’ambiguità e della doppiezza morale.

Joseph Cotten

La narrazione si svolge infatti nel 1946 e la città austriaca, divisa in quattro zone d’occupazione ad opera degli Alleati, può considerarsi il simbolo di un Europa intenta ad affrontare, e superare, i profondi traumi apportati dalla II Guerra Mondiale.
Qui giunge l’americano Holly Martins (Joseph Cotten), squattrinato scrittore di modesti romanzi western, per incontrare il suo vecchio amico Harry Lime (Orson Welles), il quale gli ha manifestato l’intenzione di offrirgli un lavoro, ma apprende che questi è morto il giorno prima, investito da un camion, e se ne sta celebrando il funerale. Non convinto della versione dell’incidente datagli dai testimoni, Holly inizierà una personale indagine, scontrandosi con il maggiore Calloway (Trevor Howard) della polizia inglese, che non tarderà a rivelargli un’amara verità, ovvero come il suo amico fosse uno spietato trafficante di penicillina adulterata. Avrà poi modo di conoscere l’amante di Harry, l’affascinante ed ambigua Anna (Alida Valli), dalla quale sarà subitamente attratto, anche lei coinvolta in un particolare gioco di luci ed ombre, intrighi e doppi giochi. I misteri verranno infine dolorosamente alla luce, a partire dalla scoperta che il corpo sepolto non è quello di Harry…

Alida Valli

La descritta particolare modalità di ripresa viene accentuata dalla fotografia di Robert Krasker, il quale esalta un bianco e nero rarefatto ed incisivo allo stesso tempo (risolutiva al riguardo l’intuizione di Reed nel girare con le strade bagnate dalla pioggia), dal richiamo espressionistico (che gli valse il Premio Oscar, mentre la pellicola ottenne anche il Grand Prix alla Terza Edizione del Festival di Cannes, l’equivalente, all’epoca, dell’odierna Palma d’Oro), idoneo a far risaltare la plumbea atmosfera, suggestiva e tagliente, che diviene un tutt’uno con l’infida morale dei personaggi, magnificamente  resi dai rispettivi interpreti,  in un sottile gioco di simbolismi, dove nessuno è realmente come appare.
L’uso del grandangolo distorce le immagini, creando prospettive sghembe, accentuando  toni onirici e surreali,  sottolineando quella linea di confine tra Bene e Male che tutti i protagonisti del film attraversano, senza che vi sia una netta vittoria del primo sul secondo. Le due entità, infatti, “l’un contro l’altra armate”, non troveranno mai una definita linea di demarcazione sul campo di battaglia al cui interno andranno a fronteggiarsi, in quanto non viene prospettata alcuna soluzione alle nefandezze poste in essere dall’uomo, dall’essere umano, contro i propri simili, in nome del facile profitto.

Orson Welles

L’integerrima ed idealista rettitudine propria di Martins, appena velata da un malinconico disincanto, che andrà anche a scontrarsi con l’impossibilità di un amore visto come intervento salvifico nei confronti di Anna (sottolineata dallo splendido finale, un lungo e memorabile piano sequenza), si contrappone, senza però prevaricare, al cinismo disperato di Lime, temprato dai fondamenti “pratici” imposti dalla Storia, i quali sembrano suffragare una perpetua vittoria di Caino ai danni del fratello Abele.
Infatti a risultare vincente, pur nella sua sconfitta, sarà proprio il personaggio di Harry, che, espediente narrativo dalle ascendenze letterarie, entra in scena dopo circa un’ora, all’improvviso, illuminato dalla luce uscente da una finestra aperta, polarizzando l’attenzione sul suo carisma sinistramente diabolico, sorta di moderno Lucifero, l’angelo caduto.

La sua malevola figura è enfatizzata dalla frase rivolta all’amico Holly a conclusione di un discorso pronunciato all’interno della cabina di una ruota panoramica (quindi sospesi nel vuoto, a simboleggiare la presa di distanza da qualsivoglia condizionamento esterno), emblematico anche riguardo la definitiva caratterizzazione dell’intero arco narrativo, incentrato su quanto poco possa valere la vita umana di fronte a subitanei guadagni, autoassolvendosi così dai suoi crimini: “Sai che diceva quel tale? In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno dato vita a fenomeni come Michelangelo, Leonardo Da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno regnato amore fraterno e cinquecento anni di pace e democrazia, e cosa hanno prodotto? Gli orologi a cucù”. Indimenticabile, infine, il caratteristico commento sonoro, The Harry Lime Theme, scaturente dalle note della cetra di Anton Karas.


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