Le luci e gli addobbi di Natale messi troppo presto mi hanno sempre causato un certo disagio, soprattutto da quando vivo all’estero. Non è una reazione alla mercificazione del Natale, non sono i regali obbligati e nemmeno il “dover essere felici a tutti i costi”. Di tutto questo non me n’è mai fregato niente. È il tempo che mi frega: mi si insinua nel cuore l’illusione che manchi poco più di una settimana al ritorno a casa e la nostalgia di Leuca si assesta su livelli troppo intensi da reggere per un mese e passa.
Però, quest’anno, ho deciso di accettare questa nostalgia. Ho cercato di non contrastarla, anzi, di esplorare fino in fondo la sensazione di “non essere né di qua, né di là”. Ho cercato di non sfuggire alla mia personalissima “ricerca del tempo perduto” e di farla maturare. Fondamentale è stata la scelta del mio compagno di viaggio: “Il testamento francese” di Andreï Makine. Romanzo incentrato su un intenso rapporto nonna-nipote e che attraversa la cultura e la storia francese e russa del ‘900, è dotato di una potenza evocativa sorprendente. La protagonista, Charlotte, che dalla Francia si ritrova a vivere in Russia, racconta e fa rivivere ai nipoti il suo percorso a ritroso, in un continuo sovrapporsi di interiorità ed episodi realmente accaduti, di salti temporali che quasi portano il lettore a non distinguere chi narra da chi ascolta.
Nostalgica della sua Francia e dei suoi caffè, Charlotte sembra parlare a tutti gli emigranti che rivedono Atlantide ogni volta che devono adattarsi, ad una terra straniera. Alyosha, suo nipote, vive e cresce in una siberia desolata, ed è condannato ad essere un diverso. E’ infatti orgoglioso delle sue radici Russe, ma è eternamente in bilico tra due dimensioni: la Francia dei sentimenti e la vita dura nella steppa. Tramite i racconti di Charlotte, si ritrova in bilico tra due realtà geografiche e temporali diverse, ossessionato da una Francia idealizzata e dal desiderio di viverla e di riportare lì Charlotte.
Le suggestioni si susseguono in un crescendo di intensità, e anche le soprese nel libro non mancano. È denso di avvenimenti reali ed emotivi, che si sviluppano tra due contesti che si confrontano, si compenetrano e cambiano nel corso della storia.
È un libro che si nutre di ricordi piuttosto che di nostalgia. Il tema centrale è l’affermazione della propria identità ovunque ci si trovi. Perché Atlantide, ne “Il testamento francese”, non è un luogo fisico ma un luogo dell’anima: infatti, paradossalmente, Alyosha rischia di schiacciare la sua Atlantide proprio quando realizza l’obiettivo di andare a viverci.
Ho ritrovato sfumature della mia esperienza da emigrante in questo romanzo, e mi ha fatto bene: perché ho pensato che Atlantide ci sarà ogni volta che ne avrò bisogno, che rivivrà in ogni mio racconto o anche semplicemente quando mi fermerò a prendere un caffè al volo allo Starbooks e, intravedendo quel gusto familiare, mi dirò: “è buono come quello di Leuca”.
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