Ora si sa che il problema dell'adattamento in un'altra lingua è complesso e non può essere liquidato con una semplice traduzione letterale. Non è detto che ciò che viene bene espresso in una lingua, nella fattispecie l'inglese, può essere espresso altrettanto bene con una traduzione letterale pedissequa. A volte, e non solo nel caso di modi di dire, giochi di parole eccetera, bisogna adattare. E nell'adattamento a volte si perde qualcosa, mentre altre (più rare) ci si guadagna. Mi viene in mente A Clockwork Orange di Anthony Burgess/Stanley Kubrick, letteralmente Un'arancia a orologeria, che in italiano diventa l'apprezzabile Arancia meccanica, oppure The Man in the High Castle di Philip K. Dick, letteralmente L'uomo nell'alto castello, che però da noi è conosciuto come il totalmente diverso La svastica sul sole, oppure più recentemente, The Martian di Andy Weir in italiano diventato L'uomo di Marte, che può assomigliarci, ok, ma che concettualmente è molto diverso. Di esempi come questi ce ne sono a bizzeffe.
È giusto dunque che l'opportunità dell'adattamento rispetto alla traduzione letterale vada valutata di volta in volta. Tuttavia, in Italia - in particolare in ambito cinematografico, ma non solo – noto una tendenza diffusa e ricorrente a stravolgere i titoli, falsando quindi l'intenzione principale degli autori dell'opera con la conseguenza che gli spettatori credono di trovarsi di fronte una cosa e se ne trovano invece un'altra, completamente diversa. Maggie è un caso emblematico. Contagious - Epidemia Mortale vuole suggerire un thriller avventuroso, con la ridondanza eccessiva di tre parole simili: contagio, epidemia e mortale. Una scelta "esteticamente" pessima di per sé (e assai surreale, in quanto si adatta il titolo inglese del film con un'altra espressione inglese), ma ancora peggiore se si guarda al contenuto del film.
La sensazione mia è che – per lo meno in ambito cinematografico – il distributore italiano, il cui unico interesse è massimizzare gli introiti, faccia un ragionamento di livello piuttosto basso, perché lui stesso è parte del pubblico cui si rivolge. In questo modo segue la tracce di quanto già fatto in passato (forse perché il passato gli ha dato ragione, forse perché non è disposto a rischiare), e sovente finisce così per inventarsi varianti di titoli già usati o locuzioni simili, a volte assonanti, meglio naturalmente se relative a film che hanno avuto almeno un discreto riscontro di pubblico. La titolazione di film anglofoni sembra quindi seguire, almeno a tratti, più un criterio pavloviano, che di marketing o di creatività alla ricerca di vere suggestioni, per la serie quando si dice che è il mercato a educare il pubblico e non viceversa.
Ecco dunque uscire fuori il nostro Contagious – Epidemia mortale, che – per dire – fa abbastanza il paio con Contagion (2011) e con Virus letale (1995), nel quale però, a dispetto della presenza di Schwarzenegger, non c'è avventura, non c'è thriller, niente tute bianche con i caschi, niente laboratori, niente azione e niente muscoli. Perché Maggie è un film insolito, e qui sta il suo miglior pregio, perché minimalista, intimista oserei dire, nel quale la collocazione horror è davvero accessoria, giacché Maggie potrebbe essere affetta da una qualsiasi malattia purché incurabile e contagiosa. Ma chi invece andrà a vedere Contagious - Epidemia Mortale, che genere di film penserà di vedere? Di certo a quel punto non avrà più alcuna importanza, perché a quel punto il biglietto l'avrà già pagato.
Per la cronaca, il film non è male, nel suo inedito, non-morto punto di vista. Purtroppo, però, non sfonda, se non nel finale, in quanto per tutto il resto della vicenda imbocca binari che seguono un percorso troppo tradizionale, canonico, a tratti banale, e dunque prevedibile e noioso. Così alla fine tutto quello che gli si può concedere è giusto una sufficienza stiracchiata, ottenuta con il colpo di coda in zona Cesarini e uno Schwarzenegger perfino credibile in un ruolo non muscolare.