Il tono di chi scrive

Da Marcofre

Un errore piuttosto comune nella scrittura, è sbagliare il tono. Certo, alcuni potrebbero pensare che si tratta di un dettaglio, di quegli aspetti che stanno un po’ sullo sfondo, e sui quali non è necessario sprecare troppo tempo. A ben vedere però, non preoccuparsene o occuparsene in maniera superficiale, rischia di compromettere l’intero lavoro di scrittura.

L’errore nasce dall’idea che: “Io scrivo perché ho l’autorità per farlo”. Non è mai tanto perentoria questa idea, lo so bene; ma esiste in chiunque scribacchi.
Anche perché la molla che spinge alla scrittura è (anche) una cosa che si chiama presunzione.

Questa è una qualità che è bene tenere a bada, perché è facile che prenda degli spazi che non le appartengono. Un concetto che sfugge è che occorre disciplina quando si scrive, poiché ci vuole poco per essere travolti.

Buona parte degli autori che restano nella storia della letteratura, partono verso l’ignoto quando iniziano a scrivere una storia. Ecco perché il tono perentorio viene lasciato da parte. Quando Melville inizia il Moby Dick, che scrive?

Chiamatemi Ismaele.

Non è il suo nome autentico, il protagonista si presenta quasi all’improvviso e sembra dire al lettore:

“Senti amico, chiamami in questa maniera, d’accordo?”

Per lui il nome, al quale ciascuno di noi dona enorme importanza (ed è importante), non lo è affatto. C’è una storia da raccontare, sembra dire, e questa è più urgente di come mi chiamo.

Certo, Ismaele è un sopravvissuto, sa bene cosa deve raccontare. Eppure alla fine, gli interrogativi non sono soddisfatti, le domande restano in sospeso. Per lui, per il lettore, per lo stesso Melville, non c’è luce o una maggiore chiarezza. Ma non c’è scritto da nessuna parte che occorra trovare le risposte, anzi.

Melville non avrebbe scritto nulla del genere se avesse avuto idea di dove andava a parare. Avrà imparato forse qualcosa dalla storia che scriveva, ma solo perché ha evitato di assumere il tono di chi ha scoperto e sa.

C’è una bella differenza tra chi ha autorità e autorevolezza. Il primo è persuaso di conoscere, e si degna di svelare ai sudditi-lettori la sua scoperta.
Il secondo non sa molto, a malapena sa che tutto quello che conosce è sbagliato, e vuole capire qualcosa in più, non si rassegna. Si mette in viaggio.

L’autorevolezza nasce dalla voglia di capire qualcosa di più dell’essere umano: nel bene e nel male, un animale sempre sorprendente.


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