Natale 2009. Strada di bassa montagna. Ricordo che eravamo chiuse in auto a proteggerci dal freddo invernale. Non nevicava ancora, ma aveva piovuto. Ci scambiammo i doni con vera emozione. Non sono mai stata così contenta di un regalo fatto. Avevamo trascorso dicembre impacchettando libri e riflettendo insieme sul senso di quel donare, a volte troppo frenetico. Fu il primo anno in cui Natale tornò magico come quando ero bambina. Incontrai Erri de Luca in quell’auto. La mia amica mi regalò Il peso della farfalla. Mi commossi prima di iniziare la lettura. Dopo la prima pagina mi innamorai.
Sono certa che perdonerete questa digressione che, comunque, credo necessaria: temo che non riuscirò a essere del tutto imparziale. D’altra parte ogni volta che ritrovo de Luca, ho delle aspettative che mi rendono piuttosto esigente e critica, se mai dovessero essere deluse.
Appena ho avuto notizia della nuova pubblicazione, ho gioito progettando di acquistare il libro poco prima di partire per le vacanze estive. Alla fine non ho resistito ed eccomi qui.
La narrazione è affidata a due voci diverse, opposte e vicine: uno scrittore e una donna, entrambi protagonisti nella vita che incontra un’altra.
Lo scrittore, nel quale non è difficile riconoscere lo stesso autore, non ha la pretesa di prendere per mano il lettore. Estraniato dalle prime parole, è il lettore a seguirlo nella ricerca della memoria affidata all’yiddish. I poeti, gli scrittori ebrei sono i semi delle piante in fiamme nel ghetto di Varsavia: a loro spettava la testimonianza. Lo scrittore si rifugia tra le montagne per tradurre i racconti di Israel Yehoshua Singer. E lì è toccato da un sorriso.
Il sorriso di una donna che è questo prima di essere la figlia di un criminale di guerra, un ex-soldato tedesco. Cresciuta tra le menzogne, ma con delicatezza e il tocco di una poesia infinita, ha la forza di accettare il peso della verità. La sua unica pretesa è essere effetto senza causa.
La storia non appartiene né allo scrittore-traduttore né alla donna e figlia, ma al soldato, al suo torto. Non c’è giudizio di condanna né compassione. No, quella mai. C’è un uomo che la vita ha reso folle. Il silenzio sulle sue colpe è terribile, pesante quanto l’incapacità di capire.
Ho ritrovato con piacere l’intensità delle parole di de Luca, la sua sensibilità nello svelare il corpo di una donna. È nel corpo che la donna racchiude la sua magia, il sentire carnale, concreto. La profondità si nasconde alla superficie, leggera e invisibile sulla pelle.
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