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Il traffico automobilistico soffoca le nostre città? Impariamo dal modello-Tokyo

Creato il 02 febbraio 2011 da Milleorienti

A Milano sono già iniziate le “domeniche a piedi” per abbattere i livelli troppo alti di inquinamento. Le altre città italiane  – Il traffico automobilistico soffoca le nostre città? Impariamo dal modello-Tokyoanche di medie dimensioni – non sono messe molto meglio, e spesso sono soffocate dal traffico automobilistico. Ma le “domeniche a piedi” non risolvono certo il problema, che si ripresenta subito o quasi. Molti, in Italia, pensano che non ci sia alternativa a questo modello di città (e di sviluppo) basato sul trasporto automobilistico, e che il traffico sia “un segno di modernità”. E’ un grossolano errore. Un modello alternativo c’è ed è già perfettamente funzionante: si chiama Tokyo. Ne ho parlato di recente  sul periodico Eco News (cartaceo e online), newsletter informativa sulla sostenibilità ambientale, in un articolo intitolato «Tokyo, la città modello del trasporto pubblico».  Potete leggerlo qui sotto…

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Quando si parla di mobilità sostenibile bisognerebbe guardare a una città-modello: Tokyo. E’ una città che frequento da molti anni, ma ogni volta non smette di sorprendermi per la sua capacità di cambiare rapidamente (in meglio) e di sperimentare nuove soluzioni in molti campi.

Provate a passeggiare in questa affascinante, labirintica metropoli, e a un certo punto lo noterete: non c’è traffico! Poche

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automobili ai semafori, niente colonne a passo d’uomo, niente clacson, nessuna tensione nelle strade e niente puzza di gas di scarico. Com’è possibile in una megalopoli che conta 13 milioni di abitanti nella città vera e propria ma arriva addirittura a 35 milioni di abitanti considerando i suoi immensi sobborghi e le città-satellite? E’ possibile perché i tokyensi usano pochissimo l’auto, anzi molti di loro – benché ricchi – non la possiedono nemmeno.

Facciamo un paragone con l’Italia. Mentre nelle principali città italiane ci sono ormai due automobili per ogni famiglia, a Tokyo c’è il rapporto inverso: un’auto ogni due famiglie. Il che ovviamente ha molto abbassato le emissioni di gas serra. La ragione è presto detta. Il Giappone lavora da decenni a un campo in cui il nostro Paese è invece ancora arretrato: il trasporto pubblico. Proseguiamo nel nostro paragone: a Roma i mezzi pubblici vengono usati abitualmente dal 20% della popolazione, a Tokyo dal 75%. Nella capitale giapponese soltanto il 6% degli abitanti usa tutti i giorni l’automobile, considerata da molti un mezzo antieconomico e inquinante (e forse per questo le case automobilistiche giapponesi sono all’avanguardia nella produzione di veicoli elettrici).

In cosa consiste allora il segreto di Tokyo? Nella sua immensa rete metropolitana.  Nel sottosuolo della zona centrale della

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città ci sono 285 stazioni servite da 13 linee di metro che coprono 300 chilometri, con treni che nelle ore di punta si susseguono ogni due-tre minuti portando 3.900 vagoni. Ma se si considera l’intero territorio della megalopoli le linee sono ben 36 e contando i rami secondari e i “treni leggeri” si arriva a 60 linee, che portano la gente anche nelle più remote periferie con un solo biglietto. Metropolitane sempre in perfetto orario, tanto che se il ritardo supera i 5 minuti le società di gestione – la Tokyo Metro e la Toei Subway – sono tenute a rilasciare agli utenti un “certificato di ritardo” che può essere esibito come giustificazione in tutti i posti di lavoro.

Se a questo punto pensate che il prezzo da pagare per tutto ciò consista nel viaggiare da mattina a sera schiacciati come sardine nei vagoni della metro….beh, vi sbagliate. Perché il Ministero dei Trasporti giapponese ha stabilito un “indice di accettabilità dell’affollamento” in questi treni. E il livello di affollamento si abbassa costantemente. Perciò scordatevi le immagini degli inservienti in guanti bianchi che spingevano la gente per farla entrare nei vagoni: quelle immagini appartengono agli anni Settanta del secolo scorso. Oggi la realtà è ben diversa e nei treni di Tokyo si viaggia comodi. Senza contare che la metro fa parte di un sistema integrato di vita sotterranea che presenta numerosi aspetti piacevoli.

Facciamo qualche esempio. In 16 stazioni gestite dalla Toei Subway – progettate da altrettanti arc

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hitetti di fama – si tengono mostre d’arte tutto l’anno. E un archi-star come Tadao Ando ha realizzato nel 2009 la spettacolare stazione di Shibuya (cinque piani sotterranei!) come un grande uovo aperto, in modo da consentire una ventilazione naturale. I treni, inoltre, non corrono in un “vuoto” sotterraneo ma in una vera e propria “città sotto la città”, enorme e sfavillante, ricca di negozi, ristoranti, supermercati, eccetera. Per cui la gente prende la metro sapendo che poi potrà fermarsi in una stazione a fare la spesa o a cenare con un amico o a regalarsi un massaggio shiatsu o a cantare con le amiche in un locale, prima di tornare a casa. Tutti gli hotel, i palazzi di uffici e i grandi magazzini hanno passaggi underground, mentre i luoghi dedicati all’arte o al divertimento si moltiplicano, ed è ormai un gadget di moda la Guida turistica del sottosuolo giapponese. I tokyensi, insomma, hanno imparato ad amare la loro città “doppia”, sopra e sotto la superficie.
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Ma non è tutto. Le dimensioni e l’efficienza della Tokyo sotterranea e della sua rete ferroviaria migliorano non soltanto la mobilità ma anche la qualità della vita dei suoi abitanti, che  in superficie respirano un’aria molto più pulita e hanno un inquinamento acustico molto inferiore a quello presente in tante città italiane anche di medie dimensioni. Peraltro, benché l’automobile sia ormai un mezzo di trasporto minoritario in città, Tokyo non si è dimenticata delle macchine: nel 2013 sarà ultimata la realizzazione di tre circonvallazioni sotterranee, per alleggerire ulteriormente il traffico di superficie. Anche nel caso di queste circonvallazioni, come per le linee della metro, grande attenzione è stata posta all’uso di avanzatissimi filtri dell’aria, in modo da garantire aria pulita a chi vi transiterà. Tutto considerato, dunque, non è il caso che anche l’Italia guardi con più attenzione al “modello Tokyo”?


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