Certo, meglio un pagliaccio tragico che un tragico pagliaccio.
Mi è capitato talvolta di imbattermi in persone la cui prosodia, il lieve rallentamento psicomotorio, la mimica facciale sembrano dipingere, in assenza di parole, la tristezza incarnata. Per avere tutto quel peso, penso, deve essere accaduto qualcosa di veramente tragico! Un trauma che potrebbe sbeffeggiare qualsiasi mia rottura psicotica, squalificandola con un gesto di non curanza, il tipico gesto di squalifica con la mano, che dice - Tzè! questo è niente! Devi vedere quello che ho passato io!
E naturalmente io divento subito curiosissima del TRAUMA; non so se sia la morbosa attrazione psicologo-trauma o più un'azione difensiva del tipo "se lo conosci lo eviti".
Allora io predispongo tutta l'attenzione di cui posso essere capace; persino, pazientemente, cerco di respingere ogni mia fuga di assenza per non perdermi un briciolo del racconto, per non farmi sfuggire alcuna sfumatura DEL TRAUMA. Mi impegno, giuro che mi impegno sul serio!
Solo che a un certo punto, dopo che io avevo avuto l'impressione che tutto quello che stavo ascoltando era un semplice preambolo, il tragico pagliaccio se ne esce con - E QUESTO E' TUTTO - Come questo è tutto? Tutto cosa? E il trauma dov'è? No, aspetta, non vorrai dirmi che il trauma è quando sei caduto dalla bicicletta a otto anni, vero? O quando la prof. delle elementari ti ha preso per l'orecchio in III elementare? O quando alla tua vicina di casa è morto il cane? [questa è tragicamente vera
O come quel primo tragico giorno di università al cinema San Marco. All'uscita vedo una ragazza in lacrime. Penso che magari ha preso male la novità, singhiozzava, forse qualche brutta notizia che le avrebbe reso indimenticabile in negativo la sua prima giornata da studentessa universitaria. Mi accostai a questa madonna addolorata. Le chiesi cosa non andasse. Mi rispose:
- OGGI HO L'ESAME DELLA PATENTE -