Quali valori hanno ( ed avranno?) nella politica italiana parole ( teoricamente pesanti) quali coerenza, etica, programmazione e lungimiranza?
Ognuna di queste parole dovrebbe essere pietra miliare nella ()costruzione dell'intero panorama politico, nel tentativo quasi estremo di ( ri)acquistare quella dose di credibilità che ad oggi sembra essere stata fortemente compromessa e/o smarrita da parte di una larg( hissim)a porzione di società.
Per ragioni sicuramente non solo attribuibili a loro; quale ruolo finisce per avere nel mosaico odierno quel politico ( o per meglio scrivere politicante) che riesce ad effettuare guazzabuglio ideologico dei suoi pensieri, affondando ed affogando le proprie convinzioni in un gioco di riposizionamenti continui?
Quale posto può finire per occupare un politico che ( cerca di) mescola( re) a suo piacimento delegittimazione politica con frammenti di delegittimazione personale, specialmente indirizzata nei confronti di avversari che cercano di contrastarlo su piani esclusivamente ideologico-programmatici?
La delegittimazione è direttamente proporzionale troppo spesso ad opportunità di carriera, a meschinità votate all'esclusivo arrivismo, alla possibilità di ottenere quel qualcosa in più rispetto a tanti altri che cercano di arrivare in certi posti con prevalenti dosi cumulate di merito e di competenza. Al netto di punti di vista, comunque, è più che lecito porsi una sola domanda di fondo: cosa può finire per diventare un politico che struttura continuamente il suo agire all'insegna di trasformismi, arrivismi ed opportunismi vari? Può questo agire diventare una sorta di coerenza, in un mondo dove la dose di merito percepito coincide ( purtroppo spesso) con quella di merito reale? Si finisce per trasformarsi in umane contraddizioni, personificando quanto Caparezza aveva intuito in una sua celebre canzone:
"[...] Mi contraddico facilmente/ ma lo faccio così spesso/ che questo fa di me una persona coerente. [...]"
Si finisce quindi per diventare volutamente ondivaghi, coerenti in un'eterna incoerenza che lascia qualsivoglia spazio ad opinioni ed interpretazioni.
L'importante è fare anche l'impossibile per non passare mai di moda, per adeguarsi a tempi che vedono sconfitte certe ideologie che pochi istanti prima sembravano vincenti. Questi possono essere interpretabili come frammenti di arte votata al trasformismo, grandi testimonianze di ideologie svendibili al primo offerente che si dimostra forte e/o rafforzabile da alleanze rischiose.
Si rischia di elogiare solamente il salto carpiato continuo, dando luce e rilievo a persone vergognose che di tutto farebbero pur di restare incollati ad una non meglio identificata poltrona. La contraddizione viene poi eliminata ( o abilmente cammuffata), sfruttando una memoria che è tanto preziosa quanto rara da abbinare ad un'onestà intellettuale con cui guardare al mondo circostante.
Illudere elettori e cittadini, per autoconservarsi ad un'immor( t)alità politica senza quartiere.
Al netto dei punti di vista, senza bisogno di effettuare molti esempi, incoerenza e trasformismo sono diventati ( come lo erano da sempre stati?) tratti distintivi della politica italiana. Più o meno a qualunque livello istituzionale, sembrano essere sempre troppi i casi di persone che non hanno alcun timore ( o alcuna vergogna?) di corrompere/tradire/rinnegare/affogare/smentire/[...] la propria ideologia per arrivare a conservare il loro ' posto al Sole'.
Il sapersi muovere in maniera tanto incoerente quanto ' coerentemente arrivista' rischia di essere anche una necessità esistenziale, sempre troppe volte: è il caso di coloro che, con l'incedere degli anni, finiscono per diventare parte integrante del sistema politico.
Potendo consegnare allo stesso, senza colpo ferire, decisione esclusiva riguardo alla propria individuale sopravvivenza. Bastano poche domande di fondo per rendersi conto di questa verità tanto palese quanto malcelata: cosa diventerebbe al di fuori della politica una persona che per anni e anni ha ( soprav)vissuto solamente di quella, senza preoccuparsi di mandare avanti un percorso di studio/formazione/lavoro alternativa?
Cosa potrebbe esserne di certe persone qualora dovessero uscire ( anche in malo modo?) dal sistema politico che le ha viste conquistare fette di potere e consenso ( troppo spesso disinformato) sempre più imponenti e consistenti?
Queste domande rappresentano, al netto dei possibili punti di vista, una riflessione mai troppo approfondita su alcune delle vere ragioni che possono nascondersi dietro ( e dentro) al fare politica: qualcosa che sembra ( pur)troppo simile al celeberrimo ' nascere incendiari e morire pompieri'.
Quali margini poter attribuire, a livello anche ideologico, al trasformismo ed all'opportunismo militanti in campo politico ( ma non solo, sono molti i settori in cui l'essere ondivaghi e perennemente bendisposti premia rispetto al merito)?
Qualche riflessione viene riportata, a tal proposito, nel libro " Il trasformista - La politica nell'epoca della metamorfosi" scritto da Giuseppe Civati e pubblicato da Indiana. L'intento dell'opera, teoricamente chiaro sin dal titolo, è reso palese sin dalle prime righe introduttive:
"[...] 'Io son capace di cambiar colore più di un camaleonte, e se necessario mutare forma come e più di Proteo; e in fatto di assassinio dar lezione a Machiavelli. So fare questo, e non saprò mai prendermi una corona?' Così il Riccardo III di Shakespeare metteva in relazione la conquista del potere con la capacità di padroneggiare l'arte della metamorfosi. Non siamo poi così distanti da molti protagonisti della politica italiana odierna. Come ben illustra in questo libro Giuseppe Civati, però, la figura più simile ai nostri politici non è quella dell'antieroe shakespeariano, bensì quella del trasformista: teatrante, illusionista, maestro del travestimento. A fronte di reiterate promesse di cambiamento, assistiamo in realtà a continui mutamenti: del vecchio in un sedicente nuovo, o di uno schieramento politico nell'altro. Attraverso una lucida analisi, Civati invita a ripensare il concetto di alternativa per poter inaugurare una politica di cambiamenti veri. [...]"
Alla politica fatta di cambiamenti veri servirebbero ( molti) meno teatranti e fenomeni da baraccone, lasciando il posto a figure competenti che siano espressione tangibile anche ( o soprattutto?) di un rinnovamento tanto culturale quanto imprescindibile nelle platee elettorali.
E' il popolo ad avere infatti ' margine democratico' nella scelta delle proprie classi dirigenti politiche: a tale consapevolezza dovrebbe aggiungersi un sempre più ampio e consapevole ' margine democritico', laddove si stia davanti ad un sistema proteso esclusivamente all'autoconservazione sotto molteplici forme e travestimenti. Il fine primario di cambiamenti e sconvolgimenti ideologico-tattici appare chiaro attingendo anche dalle pagine del celebre Gattopardo, in una citazione meno conosciuta rispetto alla più celebre " Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi":
"[...] Ma era poi la verità questa? In nessun luogo quanto in Sicilia la verità ha vita breve: il fatto è avvenuto da cinque minuti e di già il suo nocciolo genuino è scomparso, camuffato, abbellito, sfigurato, oppresso, annientato dalla fantasia e dagli interessi; il pudore, la paura, la generosità, il malanimo, l'opportunismo, la carità, tutte le passioni buone quanto le cattive si precipitano sul fatto e lo fanno a brani; in breve è scomparso. [...]"
Sicilia come parte integrante della solita Italia. A pieno titolo, dunque. L'anomalia descritta da G.Tomasi di Lampedusa sembra essere allargabile all'intera nazione, in un gioco al ribasso ideologico-programmatico tanto prorompente quanto ineliminabile nel breve-medio termine.
Fagocitare il vento del cambiamento per annullarlo, divorando qualsivoglia forma di tempesta e/o proposta di mediazione costruttiva per far evolvere il dibattito. Sembrano comparire così populismi di ogni sorta, fra negazione di destra e sinistra a prescindere da tutto.
Tutto diventa semplice, qualsivoglia problema diventa semplificabile e/o concretamente risolvibile da uno solo fra tanti inetti, incapaci e/o nullafacenti.
Così come sentir dire e/o veder scrivere, senza colpo ferire, di persone votate e/o votabili alla realizzazione di un presunto ' Partito della Nazione' controllato ed amministrato da una ristretta classe dirigente votata ( più o meno integralmente) alla personalizzazione ( anche estrema) dei consensi politici e mediatici. La creazione di una consapevolezza simile finisce per creare (p iù o meno inevitabilmente) altrettanti cortocircuiti nella gestione e nell'articolazione della sempre troppo sbandierata buona politica:
"[...] Oggi la formula, presa in prestito da una riflessione di Alfredo Reichlin, è 'Partito della Nazione'. Massimo Cacciari la definisce una 'boutade populistica per arraffare voti e conquistare un'egemonia attorno alla figura di un leader.' Del resto 'ogni decisione favorisce una parte e sfavorisce un'altra. Perciò sono nati i partiti politici, nella democrazia. Partiti: da 'parte'. Un 'Partito della Nazione' è una contraddizione logica. Da analfabeti della politica.' [...]"
Contraddizione logica fatta da analfabeti della politica o contraddizione logica pensata/progettata/architettata/meditata/[...] da trasformisti e/o camaleonti votati all'autoconservazione di un sistema da attualizzare su scala duepuntozero?
Meglio la chiarezza o una voluta/volubile incoerenza?
"[...] Essere contro il trasformismo non significa non volere cambiare il corso delle cose, trasformare il mondo. Anzi, per una vera trasformazione bisogna debellare proprio il trasformismo, che lascia la realtà come l'ha trovata. Tutto cambia, potremmo dire, tranne la realtà. Tanto che è lecito chiedersi se piuttosto che parlare di cambiamento, non si dovrebbe parlare di mutazione [...]: è evoluzione o involuzione? E' cambiamento o falso movimento? [...] Non si tratta quindi di negare il cambiamento o il divenire stesso. Si tratta di capire se la trasformazione è innovativa o conservativa, se ha un approdo, se cambia i valori in gioco, se rende più liberi, più forti, più consapevoli. [...] Contano, insomma, la direzione e il verso del cambiamento che si dichiara. E conta provare strade diverse [...]"
Conta cercare di adoperarsi per ( ri)costruire una nuova forma di politica, svuotata da certi figuranti che hanno contribuito a renderla quella che è oggi.
Occorre razionalizzare gli sforzi, nel tentativo estremo di far ragionare quei moltissimi finti incendiari che non esiterebbero a trasformarsi in pompieri alla prima poltrona utile ed utilmente spendibile per ( sperare di) garantirsi futuro e sopravvivenza politica.
Contribuire alla ristrutturazione di un sistema che ( cerca di) costruisce ( costruire) un mondo simile a quello che qualcuno descrisse, non troppo tempo fa, in una celeberrima canzone:
"[...] è venuto ormai il momento di negare/ tutto ciò che è falsità,/ le fedi fatte di abitudine e paura,/ una politica che è solo far carriera,/ il perbenismo interessato,/ la dignità fatta di vuoto,/ l' ipocrisia di chi sta sempre con la ragione/ e mai col torto [...]"