Nel riservarsi ulteriori approfondimenti, appena esaminata la relativa motivazione, in una nota la Rai esprime soddisfazione per una sentenza che attesta inequivocabilmente la correttezza del proprio operato nella complessa ed articolata vicenda che ha riguardato l'ex direttore del Tg1.
"Considero questa sentenza paradossale e anche discriminatoria, proprio per questo i miei avvocati la impugneranno". Lo annuncia all'Adnkronos Minzolini. "La prima cosa che emerge dalla sentenza - entra nel merito Minzolini - è che la Rai è obbligata a pagarmi 65 mila e 700 euro, esattamente quelli dei rimborsi spese che io avevo già restituito alla Rai con riserva (quando è partita l'inchiesta sia penale che contabile, ndr). Cosa che dimostra come, dopo l'assoluzione da parte del tribunale penale, quello successivo è stato un espediente usato per togliermi dal ruolo che avevo".
"Contemporaneamente - osserva - nella sentenza di oggi il giudice dice che, in quanto candidato alle elezioni e senatore di una forza politica, non posso tornare alla direzione del Tg1 il che è paradossale perché dimostra ancora una volta che in questo paese c'è un doppiopesismo visto che, se non sbaglio, Santoro fu riammesso alla conduzione di una trasmissione eminentemente politica, mentre ricopriva ancora il ruolo di parlamentare europeo dei Ds. Naturalmente anche io mi sarei dimesso - sottolinea Minzolini - nel momento in cui avessi avuto una statuizione favorevole. Per tutto questo considero la sentenza di oggi paradossale e discriminatoria".
Nicola Petracca, avvocato di Minzolini, spiega all'Adnkronos: "L'aspetto positivo della sentenza è che la Rai è stata condannata a restituire a Minzolini quelle somme sbandierate come frutto di peculato, assumendo che Minzolini avesse speso i soldi dell'Azienda per fini personali".
"Sotto il profilo della domanda di riassegnazione alla funzione di direttore del Tg1 - prosegue l'avvocato - il giudice ha rigettato una serie di eccezioni preliminari svolte dalla Rai; mentre sotto il profilo del merito il giudice ha ritenuto che, il solo fatto che Minzolini si fosse prima candidato alle elezioni e quindi fosse stato eletto senatore, legittima il diniego della Rai a riassegnargli la posizione di direttore del Tg1. Il giudice, in particolare, scrive che trattandosi di servizio pubblico, il direttore avrebbe perso la sua indipendenza e per questa ragione non può stare a capo di un tg del servizio pubblico. Una motivazione - commenta l'avvocato Petracca - che sembra molto semplicistica. Si tratta, infatti - spiega - di un'affermazione di principio probabilmente giusta in un altro assetto, ma sinceramente in Rai è difficile trovare un direttore del Tg che sia stato totalmente avulso da influenze o appartenenze di natura politica. Se si applicasse semplicemente questo ragionamento, la Rai allora dovrebbe proprio fare un po' di piazza pulita".
"Voglio dire preliminarmente - evidenzia ancora Petracca - che c'è un errore sostanziale e procedurale in questa sentenza perché la Rai non ha formalmente sollevato una eccezione, dicendo che Minzolini non poteva tornare a dirigere il Tg1 in quanto eletto senatore in una forza politica. La Rai, piuttosto, ha sostenuto che Minzolini era stato eletto senatore e quindi il suo ruolo di parlamentare non era compatibile con un rapporto di lavoro subordinato. Questa era stata l'eccezione della Rai, mentre il giudice l'ha un po' estesa".