La prima stagione è l’adattamento abbastanza fedele del primo romanzo, A Game of Thrones. Ci sono modifiche, ovvio, e non solo perché si tratta di due forme espressive diverse ciascuna avente il proprio linguaggio. David Benioff e D.B. Weiss, i produttori, non sono George R.R. Martin, l’autore dei romanzi, e anche se amano l’opera di Martin hanno le loro sensibilità che si sovrappone a quella dello scrittore. Impostazioni diverse, problemi diversi, sensibilità, limiti… di questo e di altro parlerò sabato 8 giugno dalle 15,00 in poi al San Giorgio di Mantova Books.
Spazio pubblicitario finito, torniamo ai romanzi e alla serie televisiva.
La prima stagione del Trono di spade corrisponde ad A Game of Thrones (Il trono di spade e Il grande inverno). Ci sono un’infinità di piccole modifiche, ne ho accennato più su e ne parlerò più diffusamente a Mantova, ma la storia è quella. Chi doveva fare un viaggio lo fa, chi doveva vivere vive e chi doveva morire muore, chi ha un cambiamento significativo nella sua vita, chi entra in contatto con qualcuno… non proprio tutto è uguale, per esempio Brynden Tully compare già nel primo romanzo ma solo nella terza stagione televisiva perché i produttori hanno deciso di semplificare un po’ le cose per non confondere gli spettatori. I lettori iniziano i romanzi con un appendice di 19 pagine dedicato alle nobili case, e se hanno un dubbio su chi sia un determinato personaggio lo possono consultare senza problemi. Gli spettatori non hanno un simile aiuto perciò una certa semplificazione è necessaria. Romanzo e serie televisiva finiscono nello stesso punto, in fondo Benioff e Weiss non potevano conoscere la risposta del pubblico e non avevano idea se l’opera sarebbe stata apprezzata. Dovevano per forza realizzare qualcosa che poteva stare in piedi anche da sola.
Quando la risposta è diventata un sì, gli spettatori ci sono perciò si va avanti, il progetto è cambiato. Non più “un romanzo = una stagione televisiva”, ma “la saga = la sequenza di tutte le stagioni”. Questo è l’adattamento di una saga, di un’opera di ampio respiro, e un approccio di questo tipo permette ai produttori libertà molto maggiori.
Lo sappiamo quanto è forte l’ultima scena – che siano parole o che siano immagini – di A Game of Thrones (in questo caso di Il grande inverno). Per quanto A Clash of Kings (La regina dei draghi) abbia una sequenza di battaglia (7 o 8 capitoli e un intero episodio) emotivamente molto forte, dopo la battaglia ci sono alcuni aggiustamenti da fare e si rischierebbe di chiudere sotto tono. Se però si devono agganciare gli spettatori per farli tornare dopo un anno serve in chiusura una scena forte. Da qui l’anticipazione del prologo del terzo romanzo alla conclusione della seconda stagione.
In futuro non sappiamo come verranno gestite le stagioni anche se la produzione si dovrà per forza allontanare dal lineare svolgimento dei romanzi. In A Feast for Crows (Il dominio della regina e L’ombra della profezia) mancano diversi personaggi, fra cui tre dei più amati. Martin doveva raccontare troppe cose, il libro stava diventando troppo lungo, e così ha escluso quelli che, geograficamente parlando, erano lontani dagli altri. Quei personaggi sono tutti tornati in A Dance with Dragons (I guerrieri del ghiaccio, I fuochi di Valyria e La danza dei draghi). La televisione non può fare la stessa cosa e lasciare fuori alcuni attori con il rischio da un lato che gli attori prendano altri impegni e dall’altro che gli spettatori si dimentichino di loro, perciò probabilmente la quarta stagione, che inizieranno a girare a breve, comprenderà la parte finale di A Storm of Swords (Il portale delle tenebre) e alcune parti di A Feast for Crows e A Dance with Dragons. La quinta stagione dovrebbe essere dedicata alle parti rimanenti di A Feast for Crows e A Dance with Dragons.
A proposito di spoiler, non leggete assolutamente l’altra sezione di questo articolo se non avete visto il nono episodio della terza stagione, o se non avete letto I fiumi della guerra.
Domenica sera HBO ha trasmesso RW. Venerdì Sky giungerà a NR, ma visto che la televisione italiana trasmette due episodi per volta non si fermerà lì e giungerà fino a quella che per ora è la fine della storia. Ovviamente non sto dando i numeri, anche se c’è chi pensa che quando io inizio a parlare di George R.R. Martin mi dimostro lievemente fuori di testa.
Le due sigle si riferiscono all’evento principale della nona puntata della terza stagione di Game of Thrones (Il trono di spade). Per chi la letto A Storm of Swords (o almeno fino a I fiumi della guerra compreso) non c’è bisogno di essere più precisi, sanno esattamente a cosa mi sto riferendo, per chi non lo sa è meglio non sapere oltre. Davvero, si tratta di un episodio che è meglio conoscere prima, l’impatto emotivo è uno di quelli che non si dimenticano facilmente. Alcuni commenti inviati dai fan su Twitter sono stati raccolti da io9 qui: http://io9.com/the-100-best-tweets-about-last-nights-game-of-thrones-511003444. In certi casi ho riso fino alle lacrime ma, come detto, ne sconsiglio la lettura a chi non sa cosa sia avvenuto.