Il tuo Messia

Creato il 04 febbraio 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

Venisti con l’inverno bianco

Venisti con l’inverno bianco
Le nostre belle età da tempo
le aveva spazzate via il vento
Venisti per raccomandarmi
di mantener la calma
perché avevo già camminato
e l’avrei fatto ancora e meglio

Venisti all’alba per levarmi dalle spalle la croce
Tra fulmini e lapilli di oppio mantenesti la promessa
Il terzo giorno andammo a trovare il Duce
per metterlo a tacere con un pugno di ossessi
Ti ho allora confessato
di non esser mai stato
un poeta; tu però continuasti
ad asciugarmi la fronte
come a un bambino malato

Ti ho anche confessato
che al popolo il Giudice chiese
di scegliere fra me e Battisti;
ma tu continuasti a carezzarmi
la fronte con la tua calda mano,
ed io mi sentii quasi in paradiso

Strega, venisti al tramonto per veder cadere
le lucciole e la loro prole, e per veder sorgere
dalle tombe dei brigatisti i fuochi fatui

Venisti ch’era già Venere alle porte
e l’Egitto piagato da un dittatore
A piedi scalzi sulle acque camminai
levando però alto un assordante silenzio
E finalmente capisti che Poeta non lo fui mai

In un tempo non lontano

In un tempo non lontano
avresti per me pianto tanto,
avresti pianto a lungo
invece di metter sù
il muso invocando Gesù

Un tempo mi amasti tanto
Mi amasti per le mani fredde,
per mio il cuore tumultuoso
Ieri non tenevi sù mai il muso

Non mentivi
sotto il salice piangente
A me abbracciata
mi guidavi tra la gente

Avresti per me pianto
scegliendo
le lacrime più calde
Avresti poi legato insieme
una collana di dolore e sincerità
per farmene infine dono

Adesso il muso metti sù
Non piangi più, mi allontani
invitandomi a farmi monaco,
orso e santo nell’alto Tibet
lassù dove non esiste
né resiste la tua ombra

Gallo rosso

Ero stato messo sull’avviso
che sarebbe giunto il giorno
Ho fatto come sempre
ignorando l’avvertimento
vendicando la pazienza
in una bandiera per Nazareth
e nello Zero della disciplina Zen

Portato a coltivare l’orticello
disdegnavo le preghiere del fraticello;
calci nel sedere e ogni altro male
se solo osava farmi la morale
Ma non fu la sua negra fine dentro al pozzo
a dichiararmi ai quattro venti pazzo
Fu la mia bambina, fu la mia bambina
Troppo innamorato non distinsi la china
che aveva presa per muovermi contro

Quanto, quanto ci si può sbagliare
con le ragioni del cuore, per fare il gallo!
Quanto, quanto ci si può innamorare
della croce che lei lascia pendere libera
fra i piccoli seni

Troppo innamorato, troppo incauto
Ma ero stato messo sull’avviso
Ero stato messo sull’avviso, per Dio!
Non ho ascoltato la voce di Giovanni
e la vita anno dopo anno ho bruciato
come una candela romana

Quello che era comunista va a puttane,
ma ignora Rosso Malpelo e la miniera
E il fascista continua a farsi gli uomini
nel segreto d’un forno rosso di fiamme,
o al limite anche al buio di Guantanamo

Ero stato messo sull’avviso
Ero stato messo in ginocchio
Fu la mia bambina, fu la mia bambina
a denunciarmi pazzo in Cassazione
Per questo mi sono rialzato
e da solo ho aspettato
che la Fine avesse infine inizio

Per te sono morto

Per te sono morto cent’anni fa
con un diamante legato al collo
per una pietra affogata nel mare

Per te sono morto
come tutti i trapassati non amati
E non ti ho chiesto di ricordarmi
e nemmeno d’essere immortale
sui gradini della tua poesia

Per te sono morto, sepolto però
non a sufficienza, così continuo
a pregarti di buttarmi giù dalle scale
affinché possa raggiungere la pace
a rotta di collo

Dal Paradiso di Dio

Rubai dalle tue labbra
il nettare d’un bacio;
e tu subito bruciasti la mia guancia
con uno schiaffo di vera forza
Con occhi dolenti e voce soffocata
spiegasti alla mia ignoranza
che dovevo imparare ad amare
il dolore di Gesù prima di rubare
dal Paradiso di Dio

Non ho imparato ancora niente,
ma adoro ogni rimprovero
che il silenzio mi reca
immaginandoti con la faccia vergine
adagiata sul freddo vetro
della tua finestra cieca sù di me

La merla

di RomanticaVany e Iannozzi Giuseppe

I.

Vorrei che in una sera d’inverno
in punta di piedi tu da me venissi,
così assieme stretti dietro ai vetri
guardando le strade buie e gelate
negl’inverni delle favole io e te.

II.

Tra i camini
di cenere e fumo sporchi
infreddoliti i merli
riparano ali e becco
da quei leggeri fiocchi
incerti e bianchi
che ‘l paesaggio incorniciano.

In un ritaglio di foschia
ovunque il silenzio
senza orme;
e di vita non un accenno,
solamente aliti passeggeri.

Mancano le tinte d’acquerello
e lo sguardo di velluto
che di sguincio
tra gl’alberi nascosto
osserva e seduce.

Il sentimento nutro
che stanotte sarà speciale
veramente.
E’ la notte delle notti,
dell’Eterno più lunga.
Profondo sarà
il nostro sprofondare.

Oh mon Dieu, che bello!
Leviamoci di qui!
Divertiamoci di brutto,
buttiamoci a rotta di collo
nella prima bettola
purché si possa a lungo ballare.

A casa torneremo
soltanto quando il tempo
tutto sarà precipitato
nella clessidra; ed allora sì,
ci sfogheremo da pazzi
colla vista affogata
nell’alba novella impegnata
a disgelare alberi e merli.


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