Twitter, ma non ne sono poi così sicuro, è uno di questi universi-altri. A detta del co-fondatore Jack Dorsey, quella social - di Twitter - rappresenta soltanto un aspetto. Twitter è anche un servizio di news personale tanto quanto un social network. "You don't have to tweet at all. The biggest value is finding out what's happening in your world in real time.", dice Dorsey riferendosi, evidentemente anche a ciò che Twitter ha saputo diventare durante le rivoluzioni arabe. Trascura, forse, il necessario ruolo di figure (professionali a tutti gli effetti) che filtrino il buono dal cattivo, il rilevante dal rumore, il senso dal trending topic; figure che orientino nella giungla di ciò che non sempre è informazione o conoscenza. Una conoscenza che, dice Benedetto XVI, può anche essere conoscenza di sè. Perchè anche i Tweet, ha dichiarato il Papa, possono comunicare un messaggio profondo. Almeno fino a quando - aggiungo io - non ci si impegni troppo: quel che si vuole appaia profondo, in 140 caratteri (per fortuna non ne sono di più), a volte - proprio alla ricerca del TT - diventa penosamente banale!
Il problema è che Twitter, proprio come Google, è un'Azienda e deve far soldi; e per far soldi deve conquistare altri territori. Pare che, nella sua espansione, vorrà (dovrà?) permettere la cancellazione di messaggi vietati nei Paesi in cui è per legge ristretta la libertà di espressione. Come dice Claudia nell'articolo su la Stampa: "Twitter non fa le rivoluzioni, ma se i tweet su #ows non fossero visibili in Usa la storia sarebbe stata molto diversa". Staremo a vedere; di mezzo c'è, oltre che la libertà di espressione, anche quella di salvaguardare l'ecosistema informativo.
Certo, senza la materia prima (le informazioni, le espressioni delle persone, e.g. i tweet), il banco salterebbe. Ma, assumendo che tale materia prima esiste, avendo riconosciuto - come dicevo prima - la necessità di un ruolo professionale di filtro, la domanda è sempre la stessa: quale il miglior modello di business? Un modo complicato per dire: come riconoscere il valore delle informazioni distribuite? Quale deve essere tale valore? Ma, soprattutto, come far capire che un valore va riconosciuto? Luca De Biase, a proposito dell'economia dell'informazione, si è spinto ai "confini della realtà" parlando un linguaggio che non sono riuscito a comprendere: il denaro è una forma di informazione. Sono diversi giorni che ci penso ma - in mancanza di feedback - non riesco a venirne a capo: a mio parere il denaro è solo un mezzo (forse Luca De Biase mi direbbe che è proprio questa, interpretando alla McLuhan, la ragione per cui il denaro può essere informazione) per ripagare, oltre che il valore dell'informazione, anche quello delle connessioni sociali che ci aiutano a darle senso.
La risposta alle domande che sono sul tappeto devono ovviamente tener conto dello scenario di riferimento. Per l'Italia sappiamo, dall'ISTAT (via), che nell'ultimo anno c'è stato un calo delle sottoscrizioni di abbonamenti alle news (-1,5%). Sappiamo poi dal rapporto Edelman (via) che è aumentato il tasso di fiducia nei media (dal 45% al 57%); il fatto è che sono le fonti di informazione tradizionale a farla ancora da padrone. Sono quindi incuriosito dagli esiti dell'esperimento de il Fatto Quotidiano. Sono sicuro, intanto, che un ruolo importante sia quello delle testate che si candidano, in nome della trasparenza, a guida per i cittadini in questa giungla informativa con un forte impegno nella riqualificazione dell'informazione in senso etico. Una guida che, in uno scenario come quello rappresentato dalla ricerca condotta dal Gruppo di lavoro su Qualità dell’ informazione e pubblicità del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti insieme all’ Università di Urbino Carlo Bo, dall’équipe di ricerca guidata da Giovanni Boccia Artieri; una guida, dicevo, quanto mai opportuna.
Ci vuole una guida, quindi. Come quando visitiamo un posto nuovo, in cui non capiamo la lingua e non conosciamo le tradizioni. E bisogna anche riconoscerne il valore. Ecco perchè voglio chiudere con una argomento a me molto caro: il portale italiano del turismo, italia.it: pare che il nuovo ministro abbia buone intenzioni. Gli dobbiamo credere?