Il vanto e la paura del nuovo

Creato il 09 ottobre 2010 da Robomana
Ieri il critico dell'Unità Alberto Crespi ha pubblicato un articolo sul Festival di Roma che rappresenta perfettamente quello che ho scritto a proposito della sindrome da sabato del villaggio della stampa italiana: l'attesa cioè di un evento mediatico che diventa quasi più importante dell'evento stesso, o quanto meno occupa, in proporzione, più pagine di giornale. Non è che ce l'abbia con Crespi, che pure tra i quotidianisti è uno dei migliori, ma il suo articolo alla "spera in dio" sui film della selezione, con quel riprendere le parole della direzione - «poche star, molti giovani» - quel mettere l'accento su «l’aspettativa - o la speranza, se volete - che fra i giovani spunti qualche nuovo talento inaspettato», mette perfettamente in risalto i vizi di chi in Italia organizza eventi culturali e di chi ne scrive sui giornali. E' evidente, infatti, come del resto suggerisce Crespi, che se Roma si vanta dei suoi giovani è perché non può permettersi i grandi nomi delle prime edizioni (ché quando c'erano Scorsese, Coppola, Sean Connery, Ioseliani e Cimino non ci pensava nemmeno a farsi bella con l'understatement), ma è altrettanto chiaro che se da Roma usciranno giovani di talento, non saranno certo i quotidianisti a notarli.
Per una semplice ragione, la stessa per cui Muller si è tanto incazzato un mese a Venezia: perché nessuno di loro andrà a vedere i film in questione; e se mai ci andassero (visto che molti sono in Concorso, l'unica sezione che gran parte dei daily press segue in un festival) non ne parlerebbero, visto che sarebbero troppo impegnati a riempire le pagine con l'omaggio a Tognazzi e a Flaiano, con la prima di The Social Network e il pezzo sul lato oscuro di Facebook, con l'arrivo di Keira Knightley e quello annunciato di Nicole Kidman, con tutto ciò che può bucare su un giornale e che alla fine, se di mezzo c'è il cinema, riguarda solo e sempre la memoria, il gossip e naturalmente la figa.
Io ci credo che giornalisti come Crespi (e pure altri che scrivono su quotidiani ancora più embedded dell'Unità) sperino per davvero di scoprire nuovi autori a Roma: credo un po' meno che possano trovare lo spazio per farlo nelle loro rubriche e superare così il sacro terrore che si prova nei confronti del nuovo, dell'inedito e di tutto ciò che non è ancora stato trangugiato dalla macchina dei media.

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