Magazine Cinema

Il Vecchio, Il Matto e il Bambino, ovvero le storie di una calda estate italiana del 1990

Creato il 10 gennaio 2016 da Giuseppe Armellini

Il Vecchio, Il Matto e il Bambino, ovvero le storie di una calda estate italiana del 1990

L'immagine simbolo del "mio" Mondiale

"Forse non sarà una canzone 
a cambiare le regole del gioco
ma voglio viverla così quest'avventura
senza frontiere e con il cuore in gola"
E il cuore in gola è anche quello di un bambino di 13 anni malato di calcio che si ritrova il Mondiale nel proprio paese, un'Italia lussureggiante e goduriosa, ancora ignara delle mani pulite che la governano e soltanto incuriosita dai primi barconi colmi di disperazione che arrivano sulle coste.
E quel cuore in gola del bambino che fui non è tanto quello di chi non vede l'ora di tifare la propria nazionale, quella nazionale di Azeglio Vicini così piena di talento, dar Principe de Roma al siciliano dagli occhi sgranati, dal giovane codino buddhista toccato dalla Grazia alla punta che elevò le rovesciate ad arte, ma è l'emozione, l'attesa, l'adrenalina e la voglia di vivere e godersi ogni singola partita, di scoprire i nomi dei calciatori degli Emirati Arabi Uniti o quelli impossibili e tutti uguali dei Coreani del sud.
Perchè quel bambino già da anni riempe quaderni di nomi, statistiche e storie di calcio, e più le longitudini son lontane da Greenwich più il bambino si emoziona.
E' il Paese delle meraviglie di Alice, è la Fabbrica di Cioccolato del bambino goloso, è il Paese dei Balocchi di Pinocchio.
E' il Mondiale di calcio. Ed è a casa mia. E io partirò per Roma.

Il Vecchio, Il Matto e il Bambino, ovvero le storie di una calda estate italiana del 1990

Totò Schillaci

















"E il mondo è una giostre di colori
e il vento accarezza le bandiere
arriva un brivido e ti trascina via
e sciogli in un abbraccio la follia"


Edoardo e Gianna continuano a cantare.
E parlano di colori e bandiere.
E il bambino quelle bandiere le adora, e non solo per il calcio ma anche per la geografia, altra grande passione.
L'Italia è coloratissima. l'arancione dell'Olanda, lo stesso arancione che molti anni dopo, ormai uomo, lo abbaglieranno in un'Olimpiade invernale torinese vista dal vivo, i ritmi tribali dei tifosi camerunensi, l'esoticità della Costa Rica, le orrende tute acetate dei russi, gli scozzesi in kilt, gli inglesi che bevono e menano, gli Stati Uniti che iniziano a scoprire veramente il soccer, l'incredibile entusiasmo misto alla religione di brasiliani e argentini, gli jugoslavi ancora tutti insieme ma pieni di fratture, e soprattutto una santabarbara di tricolori italiani che ammantano il suolo patrio tanto da coprirlo completamente.
E non so se l'abbraccio possa sciogliere questa follia.
Ma sì, sembra veramente di essere in un gigantesco abbraccio.
"Notti magiche
inseguendo un goal
sotto il cielo di un'estate italiana

e negli occhi tuoi
voglia di vincere
un'estate
un'avventura in più"
Sotto quel cielo che anche se piovesse te vedresti solo il sole il Mondiale comincia.
E quell'espressione "inseguendo un goal" non ha senso, ma sembra così bella.
Ed è bellissima, storica, la prima partita.
L'Argentina campione in carica affronta degli africani neri come la pece, i camerunensi.
L'Africa non è praticamente nessuno nel calcio, ha solo due squadre.
Davide nero sfida Golia bianco.
E lo mette a terra, tra gli sguardi attoniti di uno stadio stracolmo.
E la pietra che usa Davide è quella di una punta che sale in cielo e colpisce di testa. Sembra un tiro innocuo ma Pumpido, come scrisse De Gregori parlando di Nino e della sua maglia numero 7, lo lasciò passare.
L'Italia si innamora di questi africani, impara a memoria la formazione, scopre nuovi colori.
Ancora però il Vecchio Leone di cui poi parleremo non viene fuori, lo farà, in modo dirompente, solo poi.
L'Italia comincia bene e vince grazie a quello che, dal nulla, diventerà l'uomo simbolo dei Mondiali, un brutto nanerottolo con la faccia da associazione criminale.
Schillaci si chiamava. E il suo nome divenne leggenda.
Ma questo non è il post del resoconto sportivo di un mondiale.
Questo è il post di un bambino e delle storie che lo affascinarono.

Il Vecchio, Il Matto e il Bambino, ovvero le storie di una calda estate italiana del 1990

Lo storico goal di Oman Biyck nella partita d'esordio


Quella degli Stati Uniti, un crogiolo di razze e di nomi. In porta Tony Meola, un portiere d'albergo che ha la sfortuna di esser venuto fuori 15 anni troppo in anticipo altrimenti, ne son sicuro, l'avremmo visto ne I Soprano.
C'è la Cecoslovacchia con una punta gigantesca che sembra una star del rock. Si chiama Skuhravy, ed è un grandissimo calciatore.
C'è la Romania più forte di sempre, quella di Hagi, Lacatus, Dumitrescu, Popescu, Munteanu.
C'è in'Inghilterra pragmatica, bruttina, anche se là in mezzo ha giocatori di una classe infinita. Si chiamano Beardsley, Barnes, Waddle, Platt. Davanti un serpente velenoso straordinario, Lineker.
Ma quello che ruba gli occhi è uno che col calcio apparentemente non c'entra niente. E' tracagnotto, ha la faccia da cazzo, fa le smorfie, sembra giocare solo per divertirsi un pò. Ma ha due piedi che un feticista del calcio starebbe lì a guardare fino alla fine dei suoi giorni.
E' Gazza Gascoigne, un atleta che dell'atleta non ha nulla. Probabilmente si farà 5 birre anche prima di giocare. Adesso, 25 anni dopo, è un uomo distrutto da almeno 15 di anni. Solo che sia ancora vivo è qualcosa di miracoloso. Quanto ti ho amato Gazza

Il Vecchio, Il Matto e il Bambino, ovvero le storie di una calda estate italiana del 1990

il Genio: Paul Gascoigne


Ci sono gli Emirati che ne beccano 11 in 3 partite, il Costa Rica che passa il turno, l'Egitto che se la gioca con tutti. il Belgio che sembra grande, Matthaus che insegna calcio.
Ci sono decine di storie che se avessi la pazienza di voler raccontare e voi di voler sentire starei qua a farlo.
Ma, almeno io, quella pazienza non ce l'ho.
E allora torniamo al titolo, al Vecchio, il Matto e Il Bambino.
Il Bambino l'avete già conosciuto.
Ma non sapete che si trova a Roma, allo stadio.
C'è Italia - Cecoslovacchia.
E Baggio decide che quello non è il giorno giusto per giocare a calcio, preferisce lo sci.
E slalomeggia come in quegli anni faceva solo l'Albertone nazionale.
Dribbling di una leggerezza infinita, un ballerino.
E segna un goal pazzesco.
Il Bambino è basso, non ricorda quasi nulla, solo tante persone che sembrano travolgerlo.

Il Vecchio, Il Matto e il Bambino, ovvero le storie di una calda estate italiana del 1990

Baggio e la fine del suo capolavoro. Visto dal vivo


Il Vecchio è nero, ha 38 anni, un'età impressionante per giocare a pallone.
Nel suo continente, l'Africa, è una specie di personaggio che trovi nei libri di Storia.
Ma qui non lo conosce nessuno, nessuno.
Segna due goal nella stessa partita alla forte Romania.
E' una pantera. Dopo il goal va alla bandierina e inizia a danzare in un modo che nessuno si dimenticherà. Lo farà ancora nel Mondiale. E ancora.
Si chiama Roger di nome, Milla di cognome.

Il Vecchio, Il Matto e il Bambino, ovvero le storie di una calda estate italiana del 1990

La danza del Vecchio Campione


Il Matto è uno che se Soderbergh fosse passato di là avrebbe sicuramente chiamato per Traffic.
E' colombiano, capellone, una faccia e un atteggiamento da bullo e delinquente.
Il suo mondo, diresti, è quello dei cartelli della droga, non il calcio.
Dovrebbe essere un portiere ma in realtà lui se ne gironzola per tutto il campo. Lo trovi al limite dell'area, anche fuori, Lo vedi partire palla la piede scartando gli avversari.
E nessuno gli può dire niente sia perchè questo magari poi gli avrebbe piazzato una pallottola in testa sia perchè se c'è sto un leader nel calcio questo è lui.
Un giorno deciderà che è venuto il momento di far vedere al mondo qualcosa che il mondo su un campo da calcio non ha mai visto.
Si chiama Scorpione quel qualcosa.
Qualcosa che solo un Matto poteva fare e inventarsi.
Lui, invece, si chiama Higuita.
Potremmo anche parlare di un altro personaggio indimenticabile di quella nazionale, uno che lo vedi e cominci a ridere, "Dai, non può giocare a pallone uno coi capelli così, non scherziamo".
E invece questo non solo gioca ma gioca anche da Dio. Forse ci troviamo davanti addirittura ai due migliori piedi della storia del calcio colombiano.
Valderrama Carlos.

Il Vecchio, Il Matto e il Bambino, ovvero le storie di una calda estate italiana del 1990

Carlos Valderrama


Il Vecchio e Il Matto si incontrano negli ottavi di finale.
L'occasione per entrambe le nazionali è unica. un posto ai quarti.
La partita va ai supplementari.
Il Vecchio prende la palla e con un'azione formidabile firma un goal meraviglioso.
A 38 anni agile come nessuno.
Va alla bandierina, la mano sinistra sul ventre e quella destra volteggia in aria, la sua danza.
La partita è ancora in bilico.
E vedi Il Matto quasi a metà campo con la palla la piede. E' un'immagine strana, di solito quelli vestiti in maniera diversa da tutti gli altri li trovi in porta.
Ha così tanto carisma ed ascendente sui suoi compagni che questi non solo non gli dicono di tornare indietro, ma gli passano la palla di continuo.
Come adesso.
Il Matto la stoppa, decide di non restituirla ai difensori e prova a dribblare con classe la punta avversaria.
Ma la punta avversaria è Il Vecchio.
La palla è rubata, la porta è vuota, Higuita prova da dietro ad abbattere Milla ma non può raggiungerlo.
Giuseppe è commosso alla tv mentre vede il quasi 40enne africano ballare ancora sulla bandierina.
Decide che quei 5 secondi sono i 5 secondi del suo Mondiale, quelli in cui i due personaggi più incredibili dello stesso sembrano quasi essersi messi d'accordo per regalargli la sceneggiatura, a lui che di sceneggiatura ancora non capisce niente, più bella che potesse esistere.

Il Vecchio, Il Matto e il Bambino, ovvero le storie di una calda estate italiana del 1990

La disperata rincorsa di Higuita


Il Mondiale va avanti, Caniggia anticipa le farfalle di Zenga, i rigori ci buttano fuori.
Maradona in diretta tv ci dà dei figli di puttana durante l'inno.
E tante tante altre cose.
Notti magiche cantavano Edoardo e Gianna.
Un'iperbole apparentemente.
Eppure solo di magia posso parlare.
Se è vero che nessuna delle nostre estati potrà mai ritornare possiamo avere ancora il privilegio di ricordarle.
E se chiudo gli occhi sento un boato della folla in uno stadio, vedo quaderni riempirsi di tabellini, ricordo pomeriggi passati con gli occhi sgranati a vedere coreani correre a casaccio per il campo.
Mi verrebbe quasi voglia di ballare solo a pensarci.
Mano sinistra sul ventre, destra che volteggia nell'aria.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines