Il VI Vertice delle Americhe: bolivarismo contro monroismo

Creato il 11 aprile 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Si sta svolgendo il VI Vertice delle Americhe, cominciato a Cartagena de India il 9 aprile e che proseguirà fino al 15. “Il vertice delle Americhe è la riunione di più alto livello nell’emisfero occidentale. È l’unica in cui tutti i Capi di Stato e di Governo delle Americhe eletti democraticamente discutono di questioni comuni di politica, affermano i loro valori condivisi e si impegnano a concertare la loro azione a livello locale e regionale”. Così – testualmente dal suo sito ufficiale www.vicumbredelasamericas.com – la convocazione e la diffusione diplomatica, e al tempo stesso la spiegazione della sua importanza, dietro la creazione di un’agenda comune verso il futuro americano.

Ci sembra estremamente importante collocare il VI Vertice delle Americhe all’interno dell’attuale costellazione di poteri politici a livello mondiale e regionale, quindi nella nuova logica geopolitica dell’America Latina, dei Caraibi e dell’America del Sud.

Seguiremo le premesse concettuali di Alberto Methól Ferré, che tanto ci ha insegnato: non esiste l’attualità per sé, tutta la Storia implica contemporaneità e dunque tutto ciò che accade deve essere posto ineludibilmente sotto la lente del ‘Passato – Presente – Futuro’ e ‘Futuro – Presente – Passato’, dal momento che la Storia significa movimento perpetuo e, in verità, è la lotta dell’Uomo contro l’Uomo per la conquista della sua dignità, che ci riporta ad ingiustizie senza fine, nel suo tentativo di essere Soggetto; e si riesce a diventare Soggetto soltanto acquisendo autonomia, quando un Popolo in Comunità si costituisce Nazione – Nazione che gli offra un orizzonte con la volontà politica di costruire uno Stato per mezzo delle sue capacità.

Questo VI Vertice delle Americhe giunge nel segno del nostro Bicentenario che, nel nostro orizzonte e in base al paragrafo precedente, significa ottenere la Seconda Indipendenza della nostra America – sulla stessa strada indicata dall’ultimo Liberatore, José Martí. E la nostra America esclude proprio gli Stati Uniti del Nord America poiché per Martí la Seconda Indipendenza, nella sua essenza di fondo, passava per la liberazione dall’imperialismo nordamericano. Questo è fondamentale, per Martí e per la Generazione latinoamericana del ‘900, con Manuel Ugarte, Rodó, Oliveira Lima, Garcia Calderón, Blanco Fombona ecc. La Seconda Indipendenza era ed è riporre Bolívar per raggiungere una volta per tutte la Grande Patria – in Ungarte questa idea è più che chiara.

Per tanto è utile, o meglio indispensabile, nella contemporaneità della Storia, rivolgersi senza esitazioni all’atmosfera dell’epoca; compito di ogni pensiero politico che indica un sistema di idee che vuole dare una risposta alle ‘tensioni’ del tempo. Un pensiero politico che deve essere universale, secondo noi. Ed è universale solo se parte dalle radici. Il percorso inverso è soltanto un cosmopolitismo astratto e sottomesso a tutte le tipologie di colonizzazione culturale.

Seguendo questa linea, non possiamo ignorare che siamo in un punto di passaggio da un ‘ordine’ unimultipolare del post – Guerra Fredda ad un ‘ordine’ multipolare del XXI secolo, in cui gli Stati continentali saranno gli unici attori politici con facoltà di sovranità o autonomia; di crisi irreversibile degli Stati-Nazione, medi, classici ed industriali, in caduta libera; per non parlare poi degli Stati agricoli esportatori, figli della frammentazione della Nostra America; o degli Stati mono-etnici, capaci di niente; dei Balcani. In questo contesto, abbiamo una grande possibilità, come non l’avevamo nemmeno al tempo della Prima Indipendenza: realizzare la Seconda Liberazione, cioè la Grande Patria attraverso Mercosur, Comunidad Andina, Unasur e Celac, tutti figli di uno stesso percorso.

Il radicamento nel nostro popolo di un pensiero politico si otterrà soltanto con la ricerca del paradigma della Patria Grande che ci permetterà di realizzare lo Stato Continentale Industriale, per raggiungere coloro che hanno già oltrepassato questa soglia: Stati Uniti, Cina, India, Russia, Europa; prima però bisogna distinguere tra cos’è l’Unione Europea, l’Euro-zona, la NATO – lasciamo che gli Europei lo facciano, se sono all’altezza della Storia.

Con l’inizio della nostra Prima Indipendenza, con i Liberatori José di San Martín e Simon Bolívar, comincia anche la tensione incessante tra bolivarismo e monroismo. Bolivarismo e Monroismo è a buona ragione un libro classico del 1934, di uno dei più grandi filosofi della Nostra America, il messicano José Vasconcelos che illustra, ragiona, analizza e proietta questa tensione incessante ed oscillante che dominerà la storia dell’America Latina.

Nel 1826 Simón Bolívar convoca il Congresso di Panama. Dopo la fase combattente dell’unionismo ispano-americano, si doveva fare un salto in avanti verso la Nazione delle Repubbliche, poiché si imponeva deliberatamente il compito di compattare la pre-esistente unità in cui aveva da sempre vissuto l’orbe ispano-americano – perfino Spagna e Portogallo all’epoca si trovarono uniti sotto lo stesso regno dei Felipes tra il 1580 e il 1640 – che dopo si sarebbe frammentato nel corso degli avvenimenti successivi. Prima di Bolívar, incontriamo il precursore Francisco de Miranda e prima di Miranda, il progenitore del pensiero nazionale latino-americano successivo, il gesuita Juan Pablo Viscardo y Guzmán, originario di Arequipa e autore nel 1792 della famosa Lettera agli Spagnoli Americani.

L’unionismo di San Martín e di Bolívar agisce in modo unito nell’emancipazione mentre contemporaneamente andrà formando una base reciproca. Al congresso fu invitato anche l’Impero del Brasile – fatto poco noto ma che, nella contemporaneità della Storia, oggi ha estrema importanza. La morte di Bolívar nel 1830 segna simbolicamente l’inizio della frammentazione ispano-americana, per cui i Congressi Ispano-americani del 1847 (Lima), del 1856 (Santiago del Cile) e del 1864 (Santiago del Cile) sono tentativi importanti, seppur minori rispetto alle conquiste precedenti, di riscattare il programma bolivariano.

Contemporaneamente però, accanto all’unionismo ispano-americano gli Stati Uniti insinuarono in Sud America, a partire dal 1823, una dottrina chiamata ‘dottrina Monroe’. Essa in realtà rappresenta una dichiarazione unilaterale del Presidente James Monroe di un discorso davanti al Congresso nel suo Paese, il 2 dicembre del 1823, costruita con la riunione del Primo Congresso Panamericano a Washington sullo sfondo, e che ebbe in James Blaine uno dei suoi più importanti divulgatori. Questa dichiarazione unilaterale, trasformata in dottrina espansionista della politica estera nordamericana è egemonica – da qui deriva la sua radicale differenza con il bolivarismo solidale della ‘Nazione di Repubbliche’ – e pretende di concepire unilateralmente le Americhe come la dominazione degli Stati Uniti, dunque imporre una ‘nordamericanizzazione’, e trasformare la ‘America’ in sinonimo di nordamericano; e inoltre è stata posta alla base di una Geopolitica, o meglio, di una Teologia Politica che pretende che la Nostra America sia il suo ‘cortile sul retro’. È da questa ottica che José Vasconcelos identifica giustamente la storia dell’America Latina con la tensione tra bolivarismo e monroismo.

Niente di più adatto per questi tempi è segnalare che la prima violazione da parte degli Stati Uniti della dottrina Monroe, o del mito Monroe – titolo della celebre opera scritta dello storico messicano Carlos Pereyra – fu l’attacco alle isole Malvine del 1831, come anticamera all’usurpazione della pirateria britannica del 1833. Niente di più concreto e reale che la politica della doppia morale, e in seguito questa violazione si è materializzata mille e una volta in tutta la Nostra America. Come una ‘rivincita’ della Storia, è poi rimasta seppellita secondo giustizia per sempre nell’Atlantico del Sud nel 1982 durante le Gesta delle Malvine, nello stesso luogo dove ipocritamente era nata.

Per tanto, i Vertici Emisferici sono figli del monroismo e del panamericanismo; in questa dinamica geopolitica, e ancora di più come risultato di questa, nascono la Commissione Interamericana di Difesa (1942), il Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR, 1947) e l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA 1948); i tre sono i figli diletti del panamericanismo, oggi in crisi irreversibile. Sembrava che San Martin e Bolívar dovessero rimanere sepolti per sempre ad Ayacucho.

All’inizio però dicevamo che la Storia è movimento continuo e, in codesto movimento, il centro può diventare periferia e la periferia centro; questa dinamica è dovuta all’incessante ricerca di essere Soggetti della Storia. La fine della bipolarità, la transizione da un ‘ordine’ multibipolare ad uno multipolare unitamente al dato centrale e strategico (cioè che non era arrivata la fine della Storia né tanto meno che questa era tornata indietro, ma la Storia non se n’era mai andata e, dunque, non era finita) mette di nuovo in movimento la Nostra America.

San Martin, Bolivar, Artigas, O Higgins, Rodriguez di Francia della fase di unificazione, Manuel Ugarte, il Barone di Rio Branco agli inizi del XX secolo, Perón, Vargas e Ibañés del Campo a metà dello stesso XX secolo, e più recentemente Lula, Kirchner, Chávez, Morales, Mujica, Lugo, Correa e tutti i presidenti latinoamericani, realizzano un nuovo Ayacucho.

Il latino-americanismo, timidamente con il Mercosur e con nuovi venti dalla Comunità Andina, danno alla luce l’Unione delle Nazioni Sudamericane – UNASUR – e coronano il processo con l’allestimento della Comunità degli Stati Latinoamericani – CELAC – alla fine del 2011. Tutto questo, è figlio diletto del congresso bolivariano di Panama del 1826.

E nuovamente, la tensione tra bolivarismo e Monroismo prende forma, ma in un altro contesto geopolitico: al tempo della Seconda Indipendenza della Nostra America. L’ALCA è rimasta arenato al 2005, nel Vertice Emisferico del Mar del Plata; nel 2009, nell’ultimo Vertice realizzato a Trinidad e Tobago, un esuberante Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, prometteva un ‘nuovo dialogo’ e un’agenda ‘da pari a pari’, a differenza del suo predecessore Bush.
Non è successo nulla di tutto questo. Al contrario, si è verificato un colpo di stato in Honduras, sono stati potenziati il Comando Sud e la IV Flotta secondo la logica della guerra per le risorse nello schema globale di una politica inclusiva più militarista che quella dello stesso Bush in Medio Oriente – ratificata nel gennaio 2012 con una politica di difesa sotto la dicitura Conservare l’egemonia mondiale degli Stati Uniti. Si è tentato di creare spaccature cercando di firmare TLC con alcuni paesi della regione per porre fine anche al nuovo Ayacucho.

Tuttavia, la Storia continua, prosegue il suo cammino a ‘passo di vincitori’ – il grido del Generale Córdoba ad Ayacucho – ed oggi nell’agenda del VI Vertice delle Americhe figurano le Malvine, Sandwich e Georgia del Sud, non più come un reclamo argentino ma come la bandiera sudamericana della Seconda Indipendenza, in un territorio coloniale che, bisogna dirlo, è una base militare della NATO nonché territorio d’oltremare dell’Unione Europea, definito tale dal Trattato di Lisbona. Il secondo tema è la latino-americanizzazione dell’agenda cubana, già parte del CELAC. La Grande Patria è in cammino e il bolivarismo, essendo il pensiero politico del futuro, va rimpiazzando per la prima volta l’anacronistico monroismo. “Tutti i nostri trascorsi ci rendono inclini a preferire lo sforzo della cultura ad uno sforzo semplicemente civilizzatore. Il secolo dell’imitazione di ciò che è a nord, secolo di angoscia per la conquista di una cultura riflessa, sta tramontando. Al pregiudizio dell’inferiorità dei meticci e degli indios, che rappresentano la base innegabile della nostra popolazione, si sta sostituendo oggi, di fronte alla rovina del nord, la convinzione che il segreto delle culture stia nella compiacenza, in misura adeguata, ad ogni sua inclinazione e temperamento. Così, un futuro Stato colto metterebbe sistematicamente l’indio a disegnare e il ‘biondo’ a produrre, mentre l’industria si riforma da sé. Nessuno sarebbe sottomesso e ciascuno si occuperebbe della sua attività. E la società avrà fatto qualcosa di più che perpetuarsi: si sarà realizzata nel suo più nobile fine, mentre l’uomo si dedicherà a superarla”.

“I vantaggi delle nostre terre deserte e fertili ci costringono. L’intera umanità si aspetta da noi non una semplice civiltà più grande, ma una cultura più aperta, libera ed inflessibile nel far rispettare la legge. Si tradirebbe la speranza del mondo se qualcuno impedisse la nostra crescita inalterata. Un compromesso d’onore ci impone di inventare e consolidare una cultura che sia autenticamente autoctona”. (José Vasconcelos, Bolivarismo y Monroismo – Temas Iberoamericanos, Trillas, Méjico, 2011, p.50).

(Traduzione dallo spagnolo di Paola Saliola)