Il viandante nelle stanze del re

Da Anna

di Anna Perna
… credo che le metafore ci parlino ad un altro livello!
Quando re Alberto si chiuse la porta dietro le spalle era già l’ora dei vespri.  In lontananza, il tramonto stava posando la sua mano sulle terre che tutt’attorno segnavano il ricco confine del regno. Nell’aria si respirava odore di incenso, l’odore che puntualmente saliva dalla cappella di famiglia, dove le donne erano già riunite per la consueta preghiera.Uno strano presentimento lo accolse alle spalle, quasi una mano che gli cingeva il collo e poi la vita tutta. Eppure tutto attorno era come sempre. Le mura del castello, gli ossequi della corte, le reverenze della servitù. Così, la sorella, osservandolo da giorni, gli sussurrò all’orecchio il nome di  Gaiano, un vecchio viandante che soleva cantare ogni giorno a squarcia gola, preso da un’insolita allegria, quella che puntualmente accompagna i bambini, i santi o i folli. L’allegria era quello che gli mancava e così cominciò a frequentare il viandante Gaiano.Da quell’incontro fu come una rinascita perché la sola vicinanza gli metteva una certa ilarità. In realtà non cambiò nulla delle sue abitudini ma parlando con Gaiano sia accorse che quell’attitudine era contagiosa. E così lo reclutò come suo fidato consigliere. Insieme discutevano per lo più di quello che si poteva fare o non si poteva fare per migliorare le condizioni del suo regno. E fu così che re Alberto imparò che ci sono eventi fuori dalla portata della propria responsabilità, cose che non si possono controllare, proprio come le onde del mare. Ma al contempo, esistono anche cose sulle quali aveva completo controllo. Imparò che ancor prima dei suoi sudditi,  poteva governare i suoi comportamenti, i suoi pensieri, i suoi stati d’animo.Aveva imparato ad osservare gli accadimenti per quello che erano, cioè fatti. E da quel punto di vista, con l’aiuto del suo fidato consigliere, aveva capito che poteva colorarli come meglio credeva.
«Un fatto è come un disegno fatto di sole forme. Sta a noi, alla nostra personale attitudine decidere in che modo colorarlo – diceva Gaiano – Possiamo usare colori tenui e della consistenza degli acquerelli se vogliamo accennare una sensazione, oppure, possiamo usare l’audacia dei colori forti a olio, se vogliamo addentrarci in profondità.»Era vero. E Gaiano non esprimeva alcun giudizio. Lasciava al Re la responsabilità di seguire o meno le sue impressioni.
Da quel momento in poi cambiarono molte cose a palazzo. La strana armonia che aleggiava sul regno aveva però scompaginato alcune abitudini della corte, creando malumori e invidie nei confronti del saggio.Fu così che il terzetto reale, composto dal sacerdote di famiglia, il Guardasigilli e il tesoriere, spinti dalla nobiltà, iniziarono a spiare il saggio Gaiano per coglierlo in qualche ipotetico passo falso. Il loro intento era quello di scoprire qualche segreto del suo passato per screditarlo di fronte agli occhi del Re.Osservandolo nei suoi spostamenti quotidiani avevano, infatti, notato, che tutti i giorni, all’ora dei vespri, quando tutta la corte si ritirava in rigorosa preghiera, Gaiano spariva improvvisamente per circa un’ora per entrare un una stanza arroccata nell’ultima ala del castello. Poi, improvvisamente tornava come niente fosse, con il suo solito buon’umore.La cosa destò molti sospetti.
il Guardasigilli prese parola con con il re e  scagliandosi contro l’uomo, disse « Sire, abbiamo sopportato quest’uomo per mesi e mesi. Non è più tollerabile che ad un uomo senza storia si dia il potere di influenzare le Vostre decisioni. Ci sono prove che costui sia un impostore e che stia complottando alle Vostre spalle per accaparrarsi il Regno. » A queste parole re Alberto si inalberò, poi fu frenato da un impeto improvviso.« Se quest’ uomo non ha nulla da temere, deve dire pubblicamente cosa va a fare tutte le sere all’ora del tramonto nella parte più alta del castello.»E prima che il Re lo ordinasse, Gaiano invitò con fermezza, il suo signore e l’intera corte a seguirlo presso la stanza.Quando la porta fu aperta, la stanza era buia ma la eco dei passi faceva presagire un ambiente grande e spoglio. Il niente colmava i muri e l’odore di muffa e polvere veniva allontanata da passi decisi che volgevano verso le finestre. Fatta luce, infondo alla stanza, si scorse un vecchio armadio con un’anta aperta. E dentro un vecchio tabarro sdrucito e mangiato dalle tarme.La sorpresa colse increduli tutti gli spettatori che guardandosi, non riuscivano a darsi una logica spiegazione di quanto stava accadendo.E fu così che, con la voce più dolce che mai fu sentita, Gaiano, cantò la sua versione.
« C’era un viandante di un regno lontano, un regno di sogno, un luogo alla mano. Un regno di fiabe, di fate e chimere, di buffoni di corte e gente per bene.Ero partito con l’entusiasmo, senza timore e senza rimpianto.Avevo lasciato la casa e la madre per diventare uomo come mio padre.Avevo conosciuto la fame e la sete, le donne, gli uomini,  la vita e la quiete.E fu così che arrivai in questo regno,governato da un giovane senza ritegno, ma che con cuore e con la pazienza iniziò la sua ricerca verso l’Essenza.Ma ogni sera, quasi per rito, mi reco in queste stanze per ammirare i resti del  passato e per ricordare. Quello che sono lo devo anche a questo, il mio passato e quello che è stato. Torno per onorare le ragnatele che alla luce del sole sembran candele, stelle che illuminano il mio presente, torno per me e per la mia mente. E’ la mia essenza che vado cercando, solo per questo e senza rimpianto.Onorare il passato per aprirsi al futuro, è questo che faccio ogni sera, sicuro.Ecco svelato il mio segreto, al quale non pongo alcun veto.E se la mia versione non vi fosse gradita, lasciatemi andare alla mia dipartita.»
Re Alberto guardò il saggio consigliere con il cuore aperto e l’anima vibrante. Poi si girò verso la corte e il trio reale facendo loro cenno di uscire. In quel momento accadde qualcosa di inusuale. Scese un silenzio inatteso, come quando si cala il sipario su una commedia.
Re Alberto si voltò verso Gaiano, ma rimase stupefatto quando s’accorse che nella stanza non c’era nessuno, tranne la  viva sensazione della calda mano del suo amico sulla spalla. In quel momento capì che la sua solitudine si sarebbe riempita di nuovi significati.

(tratto da "La ballata dell'elefante" di Anna Perna, un libro ancora in cerca di editore)


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