3000 anni fa i sardi brindavano con il vino nel Nuraghe Arrubiu
di Giancarlo Ghirra
Non è il caso di ricamarci sopra scenari politici o filosofie della storia, ma sapere che i sardi nuragici praticavano con successo (e gioia) la coltivazione della vite non dispiace in un'era storica, la nostra, che vede un crescente successo dell'enologia made in Sardinia. C'è scienza antica dietro la fortuna dei vitigni autoctoni, come conferma Gianni Lovicu, ricercatore nell'istituto regionale che sino a poco tempo fa si chiamava Cras e ora è stato ribattezzato Agris. L'esperto di tecnologia insieme all'archeologo Mario Sanges, della Sovrintendenza di Nuoro e Sassari, sono i protagonisti della terza delle Serate di Archeologia a Casa Cabras di Orosei.
Un pubblico folto li ascolta mentre demoliscono alcuni falsi miti: «Fino a qualche decennio fa era opinione comune fra tutti gli studiosi del settore - esordisce Sanges - che l'arrivo in Sardegna del vino, e della coltivazione della vite, risalisse alla fase iniziale della colonizzazione fenicia (IX-VIII a.C.). Fortunate campagne di scavo condotte con i più moderni sistemi di indagine archeologica, coadiuvate da sofisticate analisi scientifiche, hanno consentito di retrodatare a partire dalla fine del XV a.C. la certezza della presenza in Sardegna della vite e del vino».
Il dottor Sanges sostiene che proprio 3.500 anni fa si intensificarono i rapporti dei Sardi con il mondo miceneo, come dimostrano contenitori di ceramica utilizzati per la conservazione dell'olio, ma anche del vino. Ne sono state ritrovate diverse, e in luoghi diversi: dal nuraghe Antigori di Sarroch al complesso nuragico di Santu Pauli di Villamassargia, dalla grotta santuario di Pirosu Su Benazzu di Santadi al Nuraghe Arrubiu di Orroli, che l'archeologo conosce particolarmente bene per aver partecipato da protagonista alla campagna di scavi. Oltre a narrazioni mitiche, come quelle riguardanti Aristeo, sono stati rivenuti dagli archeologi acini carbonizzati e pollini, brocche e anfore. Notevoli quelle a forma di askos, cioè di otre, fra le quali brilla anche per raffinatezza estetica la straordinaria brocca askoide a due colli (uno dei quali costituito da una grande protome bovina) proveniente dalla fonte sacra nuragica di Sa sedda ‘e sos carros di Oliena. «Tutto ciò prova - secondo Mario Sanges - che il vino era già prodotto ed esportato nei tempi preistorici». Successivamente, in era fenicia, punica e poi romana, la Sardegna diventa un luogo di produzione e smercio. «Due laboratori enologici in eccezionale stato di conservazione, con vasche per la pigiatura, bacili, basi e contrappesi dei torchi, nonché recipienti di vario uso, in ceramica e vetro - precisa Sanges- erano presenti nei livelli di riutilizzazione degli spazi in Età romana nel grande complesso del Nuraghe Arrubiu di Orroli». Lo scavo ha permesso di recuperare anche una certa quantità di vinaccioli carbonizzati, rivelatisi appartenenti a un vitigno ancora coltivato nell'Isola, denominato a seconda delle diverse località «Bovale sardo» o «Muristellu».
Sono tanti, in realtà, i vitigni nati in Sardegna. Fra loro il più famoso è sicuramente il cannonau, per secoli impropriamente ritenuto proveniente dalla Spagna. A smentire questo falso mito è stato ed è con le sue ricerche Mario Lovicu: «Il cannonau - spiega con profusione di cifre e dati - è il vitigno più coltivato in Sardegna e uno dei più coltivati al mondo: è stato riconosciuto simile al Garnacha spagnolo, al Grenache francese e al Tocai rosso friulano. Molti studiosi hanno affermato che il vitigno sarebbe originario della Spagna proprio per la similitudine con il Garnacha e con il«Can(n)onazo» di Siviglia, vitigno spagnolo di origine andalusa. In realtà, un'analisi più puntuale e completa delle fonti documentali ha permesso di evidenziare che il nome spagnolo del vitigno, Garnacha, ma anche quello con cui è internazionalmente conosciuto, Grenache, vengono dall'italiano Vernaccia, un chiaro segno della provenienza non iberica del vitigno».
Per di più non esiste un vitigno canonazo di Siviglia, dal quale è stato fatto derivare il cannonau. Nessun autore spagnolo parla di questa varietà, banalmente frutto di un errore di stampa: «Soltanto una serie di citazioni errate - spiega il dottor Lovicu - ha finito per dare un'errata origine spagnola al cannonau, del quale si parla in Sardegna in un atto notarile nel 1549, mentre la prima citazione del Garnacha come vino rosso in Spagna è di un dizionario del 1734». Si scopre insomma che le ipotesi classiche sull'origine di alcuni vitigni coltivati in Sardegna si fondano su un pregiudizio culturale, non sostenuto da una rigorosa analisi delle fonti. «Tutto ciò - precisa il ricercatore- ha determinato un'attribuzione di origine al cannonau perlomeno discutibile. A questo vitigno, e al muristellu, è stata attribuita un'origine spagnola che un esame puntuale delle fonti e i ritrovati della biologia molecolare riportano invece in Sardegna. «Insomma - sostiene Mario Lovicu - si può ipotizzare che il cannonau sia stato esportato dalla Sardegna, dove è nato, in Spagna, e non viceversa».
Mario Lovicu e l'archeologo Mario Sanges, riportano dunque nell'Isola le origini di un vitigno che era stato regalato agli spagnoli. Torna in una Sardegna che lo sudioso di tecnologie identifica in un centro di domesticazione, una terra in cui la vite selvatica (vitis vinifera), è stata coltivata dall'uomo, ottenendo una produzione di uva abbondante, tanto da consentire l'esportazione del vino sardo nel bacino del Mediterraneo. E non di un solo vino. In Sardegna sono ben 26 i vitigni dei quali il ministero delle Risorse agricole autorizza la coltivazione, ma il numero di quelli utilizzati in piccole realtà è assai più elevato. Si arriva a cento: tanti erano stati censiti dall'Angius 150 anni fa. Certo, il cannonau è uno dei più noti, ma non si possono dimenticare altri, antichissimi, come il muristellu, del quale Mario Sanges, nel corso dei suoi scavi, ha trovato vinaccioli nel Nuraghe Arrubiu di Orroli.
Questo è il primo di alcuni articoli dedicati al vino e alla sua storia. Ho iniziato una ricerca che cercherà di dimostrare che l'antica Creta fu la culla dei vigneti e che la civiltà minoica diffuse in tutto il Mediterraneo questo prodotto prelibato, menzionato da tutti i più grandi scrittori dell'antichità e apprezzato, ancora oggi in tutte le sue varianti, nelle tavole di tutto il mondo.