“Questo film è la summa di tutti i miei pensieri scombinati”
“E’ uno dei film in cui più mi sono divertito a mettere insieme arte, cinema, estetica e moda”.
Così il regista Pappi Corsicato racconta la sua nuova fatica cinematografica, la graffiante e scorrettissima commedia Il volto di un’altra dall’11 aprile in circa cento sale, con Laura Chiatti e Alessandro Preziosi nei panni dei due spregiudicati protagonisti legati a filo unico dalla brama di apparire e da un inganno macroscopico attorno a cui costruiscono un’impalcatura di bugie. Un film non tanto sulla chirurgia estetica, quanto sull’odierna ossessione per la perfezione a tutti i costi. Incontriamo a Roma regista e cast, in cui spicca l’attrice feticcio di Pappi, Iaia Forte, qui nei panni di una suora tutt’altro che benevola.
E’ limitativo definirlo un film sul divario tra essere e apparire?
Pappi Corsicato: Probabilmente sì, perchè più che altro mi divertiv fare una variazione sul tema chirurgia plastica e media. È una riflessione sull’oggi, dove va bene tutto e il contrario di tutto. Prendiamo il caso Ratzinger: ha fatto un gesto importante, ma anche lì c’è un’ambiguità, una doppia lettura. Come se oggi tutto andasse bene, ecco il film in realtà vuole raccontare proprio questo senso di totale smarrimento, in cui anche cambiare faccia va bene.
La cifra con cui racconta risvolti drammatici della nostra società oscilla costantemente tra comico e grottesco.
P. C. : Questo perchè penso sempre ci sia del tragicomico in tutto qullo che succede, e mi piace raccontare lati paradossalmente ironici e paradossalmente drammatici. Il film è la summa di tutti i miei scombinati pensieri.
La scena finale è stata molto discussa: lei come la commenta?
P. C.: Il finale è volutamente vago e aperto. Bella, la protagonista, esce in qualche modo cambiata, ma non sappiamo in che direzione. Potrebbe essere più dura di prima, oppure potrebbe anche avere una sorta di redenzione. Purtroppo, non ho una risposta precisa a questa domanda: piuttosto, mi divertiva pensare a una sequenza finale catartica, in cui Bella potesse riconciliarsi in qualche modo con la natura e acquisire una diversa consapevolezza di sé, diventando magari più umana.
Come sceglie i suoi attori?
P. C.: Al di là della bravura, per me è fondamentale che abbiano un forte senso dell’ironia e dell’autoironia: a volte ho avuto rifiuti da parte di chi non riusciva a capire che dietro i miei film c’è comunque un gioco.
Iaia, lei è l’attrice feticcio di Pappi: cosa la stimola ad accettare nuovi ruoli?
Iaia Forte: Al di là dell’amicizia, io ammiro Pappi perchè in un paese conformista come il nostro lui riesce ad avere uno sguardo personale e libero come nessun altro. Trovo che qualunque gesto di anarchia nell’arte oggi debba essere il benvenuto. Come attrice poi con lui mi diverto sempre moltissimo, offre chance talmente visionarie che ne servirebbero mille di Pappi, nel nostro cinema.
Stavolta per altro veste i panni di una suora decisamente poco ortodossa…
I. F.: E’ davvero piacevole interpretare un ruolo non naturalistico, come la cattiva, una cosa rara nel cinema italiano che invece troppo spesso ci costringe a un tipo di realismo diverso e, diciamolo, noiosissimo. Chiedere un’interpretazione che sia oltre te stessa per un’attrice è un vero privilegio: questa mia suora che dovrebbe essere garante di una certa etica e invece è perfida, ladra e corruttrice era troppo irresistibile per non accettare di corsa di interpretarla.
Lino, com’è stato per te invece lavorare con Pappi per la prima volta?
Lino Guanciale: Sono un fan storico dei suoi film, ho amato tanto anche i primissimi, quindi anche solo l’idea di poterci lavorarci insieme è stata da subito una meravigliosa notizia. Poi è stato importante anche incontrare questi compagni di lavoro: veniamo da appartenenze, contributi e storie diverse, eppure Pappi ha saputo tirar fuori le cose più interessanti da ognuno di noi. Mi piace poi che anche l’estetica di questo film vada contro l’appiattimento di film e fiction a cui sempre di più assistiamo.
Una domanda sulla sceneggiatura, che tipo di lavorazione è stata?
Gianni Romoli: Si è trattato di un lavoro molto lungo e complesso, abbiamo fondamentalmente seguito due piste: una fortemente narrativa, l’altra invece è la costruzione di un film il cui contenuto reale non era tanto la narrazione, quanto le forme del raccontare. Quando ci vedevamo con Pappi ci raccontavamo dei film visti, delle musiche, delle suggestioni di forma, dell’equilibrio tra raffinatezza e trash. Quando lavori con un autore così fortemente connotato come lui devi inseguirlo e riportarlo sulla terra, ma soprattutto devi scoprire i fantasmi che ha in testa.
di Claudia Catalli