Il volto incompiuto – Considerazioni finali

Da Marcofre

Cominciamo da quello che non va? Il sito Bur non presenta (ancora) il libro “Il volto incompiuto”; la funziona di ricerca mi ha sempre consegnato un bel due di picche. Viceversa, quello dedicato alla vendita lo mostra eccome, anche con uno sconto interessante (superiore a quello praticato da IBS.it, se non ricordo male).

Parliamo adesso delle cose importanti. Si tratta di saggi e lettere di Flannery O’Connor, tradotti nella nostra lingua per la prima volta. Dentro c’è lo sguardo della scrittrice sul mondo, sulla letteratura; e molto altro ancora.

La persona che insegna a scrivere è poco più di una levatrice. Dopo aver aiutato nel parto, è scortese dire, Signora, suo figlio ha due teste e non crescerà mai. La mia procedura è, una volta nato, annunciare solo se è vivo o morto.

Per prima cosa, troviamo una persona che sa essere ironica; probabilmente persino troppo per certi gusti (non i miei, sia chiaro). Capace di una profonda attenzione, e questo mi rimanda a Raymond Carver, di cui ho appena terminato di leggere “Il mestiere di scrivere”. Anche lui non stroncava mai. I voti agli studenti che frequentavano i suoi corsi di scrittura erano sempre delle “A”: il massimo.

Dopo la frase che ho riportato, la O’Connor fa una confessione interessante: se qualcuno si fosse preso la briga di criticare i suoi primi racconti (“pessimi” secondo lei), non avrebbe scritto il resto.

Se due pezzi grossi della narrativa statunitense (Carver e O’Connor), scrivono qualcosa di analogo, credo sia meglio meditarci.
Ma in realtà si tratta di dettagli, ma dettagli importanti, che aiutano a ricostruire il profilo di una scrittrice consapevole della sua stranezza. Cerchiamo di spiegarci (ci provo almeno).

Ogni pagina è una riflessione ora sommessa, ora più acuta e profonda, sullo scopo dell’arte, della scrittura. Sul ruolo dello scrittore in generale, e dell’essere cattolico in particolare. O’Connor sa di essere una bizzarra signora che scrive di cose ancora più bizzarre, e grottesche. Come se fosse uno strano animale di difficile catalogazione. Per lei la fede non è un ostacolo, bensì una lente per vedere meglio il mondo.

Si tratta di una visione poco comune, diciamo pure controcorrente: al giorno d’oggi sono parecchie le cose comuni. Puntare all’arte, badare solo a che sia fatta bene, e basta. Se poi riesce a denunciare ingiustizie sociali, è possibile se prima di tutto è arte. Altrimenti (mi permetto di aggiungere), si tratta di saggistica.

Quello che propone (e che O’Connor ha scelto), è un percorso solitario, in salita, che garantisce poco; nelle lettere che sono riportate, alcune accennano alle aspettative della scrittrice a proposito dei suoi libri in uscita. Si aspettava sempre delle stroncature, di vedere i suoi racconti fatti a pezzi.

Eppure. Grazie alla sua idea di letteratura così lontana dalle mode, così radicalmente cattolica, Flannery O’Connor riesce a influenzare ambiti lontani da quel suo Sud così grottesco. Come il rock per esempio, il genere musicale più intriso di denaro, ed eccessi.

Forse si riesce a parlare davvero a tutti, e soprattutto a scavalcare lo steccato del tempo, quando si rispettano due condizioni. Se si è radicati nella propria terra (senza farla diventare feticcio, come accade non solo nel Sud degli Stati Uniti, ma anche in certe zone d’Italia).
Se si è se stessi senza complessi di inferiorità. E aggiungo: se verso il lettore medio (quell’essere che il Web 2.0 insegna a rispettare scrupolosamente: scrivi semplice; scrivi di argomenti popolari; impara a sedurlo, e via discorrendo), non si ha un atteggiamento quasi idolatrico.

Altri aspetti interessanti. Le lettere attraverso le quali cerca e ottiene il giudizio di pochi, scelti lettori, sul libro o i racconti che sta scrivendo (dedicato a chi pensa che l’editing sia roba per chi non sa scrivere).
La grande familiarità che aveva con la religione, Dio; per lei non era un’entità (come per tanti cattolici, che se ne ricordano solo la domenica mattina), ma un motore che agiva in quel preciso momento, lì accanto.
Commovente l’ironia, e il distacco con cui tratta il male che la ucciderà.

O’Connor non piace a molti, poiché è cattolica; a molti altri perché non lo è “nel modo giusto”. I gusti sono gusti, ed è giusto rispettare le decisioni del singolo. Però questo libricino (un po’ più di 150 pagine), assieme a “Nel territorio del diavolo”, ha il pregio di indicare a chi vuol scrivere, alcune possibili rotte per rendere la propria scrittura meno omologata. Ed efficace.


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