Il primo. Non lo dico a mia discolpa. Io delle fascette dei libri me ne strasbatto le antenne. Non le cerco, né le evito come la peste. Per me non esistono. Il punto, nel caso in questione, è che era già un po' di tempo che volevo - ebbene sì - leggere questo libro. È stata la mia passione per la fisica a intrigarmi, dato l'argomento del libro. Nelle intenzioni dell'autore dovrebbe trattarsi infatti - il condizionale è d'obbligo - di una specie di science-thriller ambientato nell'ambito della fisica, laddove la vicenda ruota intorno a un intrigo che si svolge al CERN di Ginevra in occasione della messa in funzione dell'LHC (Large Hadron Collider), l'autentico acceleratore di particelle acceso dopo qualche peripezia, due anni e mezzo fa. Per intendersi, lo ricorderete, quello per il quale i media (e non solo) fecero un gran clamore parlando di creazione di buchi neri, Terra che veniva inghiottita e altre idiozie assortite. Insomma, il tema mi incuriosiva, così alla fine l'ho preso. Nonostante la fascetta.
Lo stile. Ingenuo come quello di un dilettante alle prime armi (e di quelli anche scarsamente dotati), infarcito di espressioni colloquiali che non si leggono neanche su Topolino, con dei dialoghi di una banalità imbarazzante e pagine e pagine di inutili “convenevoli” tra i personaggi. Dal canto loro i personaggi sono stereotipi con un tratteggio psicologico degno della sensibilità di una pietra pomice. Ma se questo, in un libro che nasce per essere "di genere", potrebbe anche passare un po' in secondo piano, è difficile non notare i personaggi femminili appiattiti su un registro fastidiosamente maschilista. La struttura è confusa, con diversi momenti della vicenda il cui racconto viene di volta in volta intervallato, ma che non essendo contemporanei finiscono per rendere al lettore disagevole la comprensione di ciò che sta accadendo almeno fino a pagina 150 (e le pagine totali sono 263).
L'estratto inutile, ovvero per spiegare che cosa intendo per "convenevoli" (siamo solo a pagina 13 - nella seconda scena dei due fuggiaschi, padre e figlio - Pietro e Nico. Nico è all'oscuro di quanto sta succedendo). Il libro cola in abbondanza scene inutili e dilettantesche di questo tenore come salsa da un Big Mac:
"Quando apre gli occhi, il sole è già qualche centimetro sopra la collina e Nico lo sta scuotendo per una spalla.L'estratto utile (pag. 135, dall'articolo che la giornalista scrive sull'LHC e che Arpaia ci riporta per intero, inutilmente tranne che per questa frase che, date le circostanze, è totalmente condivisibile):
«Papà sei sveglio?»
«Sì, Nico, sì, sveglissimo.»
Le sette meno venti. Il «riposino» è durato quattro ore. Come fuggiasco a una vera mezzasega.
«Papà, ma dove siamo?»
«In Francia, più o meno a metà strada da Marsiglia.»
«E mamma?»
«Te lo già detto: ci raggiunge dopo, in Spagna.» Pietro sbadiglia, socchiude la portiera e scende per guardarsi intorno. Tutto tranquillo, la provinciale vuota, il vecchio tiglio sopra la testa, la ghiaia dello spiazzo, il bar ancora chiuso, i campi incolti, un casolare in pietra sopra la collina, la luce del mattino che pennella l'aria di venature vivide e sanguigne. Quella tranquillità, quel lento battito delle cose intorno, per qualche istante, gli fanno immaginare di non aver mentito: forse quel viaggio è veramente solo una vacanza, forse quell'ultimo anno e mezzo è stato solamente un brutto sogno, forse dopo Marsiglia, Emilia prenderà un volo per Madrid e andranno tutti insieme al mare a Cadaqués o in giro per l'Andalusia.
«Papà chiamiamo mamma?»
E invece no. Non è per niente un sogno.
«Mi è morto il cellulare, Nico. E poi è ancora presto... Se non sta lavorando, mamma starà dormendo. Magari la chiamiamo dopo.»
Decisamente no, non è una vacanza. Emilia non prenderà quel volo. E bisogna rimettersi per strada. Subito.
«Ora fai la pipì e partiamo.»
«Ma ho fame...»
«Facciamo colazione dopo. Al primo bar aperto giuro che ci fermiamo.»
[breve descrizione delle strade e dei luoghi che i due attraversano e che vi risparmio - Arpaia invece no - fino all'arrivo a un bar aperto]
«Buongiorno. Ci dà un caffè di acqua purificata, un caffellatte e un paio di croissant?»
Nico mangia in silenzio, andando su e giù con una mano in tasca e la console stretta sotto l'ascella. Nemmeno Pietro dice una parola, ma inizia a borbottare appena fuori.
«Che ladri... Cinque euro e trenta per un caffè di pura. A Ginevra lo fanno a quattro franchi.»"
"Un qualunque teorico (nel senso di fisico teorico, ndr), oggi, ha forse molta più immaginazione di parecchi narratori in circolazione."Di Arpaia senza dubbio.