GIORGIA: Veniamo da lontano e andiamo lontano, lo disse anche Palmiro Togliatti.
Faccio appello a voi che avete sempre tenuto di conto case, ville, quadri, statue più che la repubblica: se volete conservare questi beni ai quali tenete tanto, quale ne sia il valore, e abbandonarvi indisturbati ai vostri piaceri, destatevi una buona volta e prendete in mano le sorti dello stato! Qui non si tratta dei tributi o di ingiustizie commesse a danno di alleati: qui sono in gioco la libertà, la vita. Più volte, Padri Coscritti, m’è accaduto di parlare a lungo in vostra presenza. Spesso ho deplorato il lusso, l’avidità dei miei concittadini e per questa ragione mi sono fatto molti nemici. Io, che non mi sono mai perdonato una mancanza, nemmeno nel pensiero, non sapevo perdonare ad altri gli eccessi di edonismo. Voi non avete dato peso alle mie parole, ma la repubblica era salda: la sua ricchezza tollerava la rilassatezza. Ma ora non si tratta di sapere se vige la morale o il malcostume, né quanto sia grande e potente l’impero romano, ma se questi beni, comunque si voglia valutarli, resteranno nostri o cadranno nelle mani dei nemici insieme a noi. E c’è qualcuno che ci viene a parlare d’indulgenza, di clemenza? Da tempo invero s’è perduto il significato delle parole: dilapidare il denaro altrui si chiama generosità, la temerarietà è chiamata coraggio. Ecco perché la repubblica è agli estremi. Che altri, dato che oggi si usa così, siano larghi delle fortune degli alleati e lascino impunito chi ruba all’erario, ma non siano prodighi del sangue nostro e, per salvare un pugno di scellerati, mandino in rovina i buoni. Non crediate che i padri nostri abbiano fatta grande questa piccola repubblica con le armi: se fosse così, noi l’avremmo molto più bella, per gli alleati, i cittadini, le armi, i cavalli, di cui disponiamo in maggior copia che loro. No! Altri furono i mezzi che li fecero grandi, e sono quelli che noi non abbiamo più: laboriosità in patria, autorità fondata sulla giustizia fuori; nelle assemblee, uno spirito indipendente, libero da intrighi e da passioni. Noi invece che cosa abbiamo? Amore e lusso, cupidigia, la miseria nelle finanze pubbliche, la ricchezza in quelle private; teniamo in pregio gli averi, ma ci piace stare senza far nulla; non c’è più distinzione tra furfanti e galantuomini; gli imbroglioni si accaparrano i premi dovuti ai meritevoli. E non c’è da meravigliarsi: ciascuno di voi delibera soltanto a vantaggio dei suoi interessi, a casa siete schiavi dei piaceri, qui del denaro e del favoritismo; ecco perché c’è chi si getta su una repubblica senza difesa! (Meditazione su La congiura di Catilina di Gaio Crispo Sallustio).
I L L U M I N A N T E S F I D A
Lo stadio e la sfida delle reti
i giocatori e le massime personalità
sono fantastiche sostanze allucinogene
come l’oppio dei popoli era la religione.
Il mondo concreto è la tonda sfera
il pallone gonfiato è l’attrazione
dell’Europa la grande impresa
il campionato di pallone.
Per la casta l’apparire pulito
aitante giovanile scherzoso
conquista nel sondaggio
un alto indice di gradimento.
Quando erano veri giovani anonimi
volevano essere militanti rivoluzionari
cambiare questa sporca società
fare il governo dei lavoratori.
Diventati saccenti vegliardi
stringono ricche mani di campioni
se pur sconfitti osannati commossi
si scambiano riconoscimenti.
Nella globale sfida illuminante
dell’Europa e delle mondiali finanze
la sudditanza nel metaforico riscatto
riperde l’onore sportivamente.
Lo straniero stadio esulta
la libertà rimane beffeggiata
la vecchia boria esce vincitrice
i diritti umani presi a pedate.
-Renzo Mazzetti-