Imbarazzante gaffe di Umberto Galimberti su Platone

Creato il 25 luglio 2012 da Uccronline

Più volte ci siamo occupati del filosofo anticristiano Umberto Galimberti, ennesima firma laicista di “Repubblica”, assieme a Augias, Odifreddi, Veronesi, Pievani e Flores D’Arcais. Più volte abbiamo sottolineato come Galimberti abbia creato la sua carriera copiando letteralmente frasi e ragionamenti di altri autori, senza ovviamente citarne la fonte, come si evince dal libro “Umberto Galimberti e la mistificazione intellettuale” (Coniglio Editore 2011) e come ha dimostrato lo scrittore Vincenzo Altieri. Galimberti è stato l’unico “accademico” italiano ad aver mai ricevuto dalla sua Università, la Ca’ Foscari di Venezia, un richiamo formale per la persistente mancanza di citazione delle fonti nella redazione dei suoi testi scientifici.

Il filosofo, ancora ospitato senza vergogna su “Repubblica”, in questi giorni ha pensato di offrire una riflessione tutta sua, priva di plagio. Ed infatti ne è uscita una gaffe imbarazzante. La tematica è quella dell’omosessualità e la circostanza è la risposta ad un lettore del quotidiano, secondo il quale -oltretutto- secondo la Chiesa «l’omosessualità è una malattia». Ovviamente non è vero, mai si è parlato di “malattia”, semmai di «atti intrinsecamente disordinati», i quali sono «una prova» e per questo gli omosessuali «devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza». Galimberti, prendendo leggermente le distanze dal lettore, ha sottolineato che «la condanna definitiva venne proprio dalla scienza che, partendo dal concetto che gli organi sessuali servono alla riproduzione, definì “patologica” ogni forma sessuale che deviasse da questo scopo».

Il filosofo di “Repubblica” si è poi avventurato in una dissertazione sui pregiudizi verso le persone con attrazione per lo stesso sesso, secondo lui attribuibili alla «psicoanalisi, alla religione e al diritto». E’ quindi voluto entrare nel suo campo culturale preferito per affrontare meglio la questione, ovvero la filosofia greca: occorre dire che il filosofo laicista odia così fortemente il cristianesimo anche perché esso ha di fatto preso il posto della cultura greca, lui stesso dice di sé«Io non sono cristiano, sono greco». Con sicurezza, dunque, ha pensato di valorizzare Platone citando questo passo de “Il Simposio”: «Dove fu stabilito che è riprovevole compiacere agli amanti, ciò fu a causa della bassezza dei legislatori, del dispotismo dei governanti, della viltà dei governati». Secondo Galimberti, con questo passo il progressista Platone avrebbe legato «opportunamente la condanna dell’omosessualità a un problema di democrazia» ancora da raggiungere. Peccato che, come ha fatto prontamente notare Antonio Socci su “Libero”,  Galimberti ha attribuito a Platone un pensiero che nel “Simposio” è espresso da Pausania, ovvero uno dei personaggi -omosessuale e teorizzatore della pederastia- che intervengono esprimendo il loro diverso punto di vista su “Eros”. Ovviamente Platone, intervenendo per ultimo, non la pensa affatto né come Galimberti, né come Pausania o gli altri personaggi del “Simposio” (lo vedremo dopo).

Oltretutto il passo citato da Galimberti su “Repubblica”, che è di Pausania e non di Platone, in realtà esalta il genere maschile perché «per natura più forte e più dotato di cervello». Non solo, ma come ha fatto notare Francesco Colafemmina -autore di «Il matrimonio nella Grecia classica»- non parla nemmeno di “amanti” in senso orizzontale, ma di sottomissione dei giovani adolescenti ad un adulto omosessuale. La frase tradotta correttamente di Pausania è questa: «Così laddove è stato sancito che è turpe concedersi agli erastes [cioè i pederasti, Nda], ciò è da ascriversi alla malvagità delle disposizioni, alla prepotenza dei governanti, e alla viltà dei governati». Dunque oltre all’attribuzione errata, Galimberti ha perfino sbagliato a tradurre dal greco arrivando inconsapevolmente a valorizzare la pederastia e la misoginia. Colafemmina dimostra anche come l’omosessualità era condannata nell’antica Grecia e che gli omosessuali erano riconosciuti con l’appellativo volgare di cinedi (“colui che smuove la vergogna”).

Ma Galimberti sa cosa Platone pensava davvero dell’omosessualità? Assolutamente no. Nelle “Leggi”, Platone afferma che «bisogna considerare che, a quanto pare, il piacere sessuale fu assegnato secondo natura tanto alle femmine quanto ai maschi affinché si accoppiassero al fine di procreare, mentre la relazione erotica dei maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere». Il filosofo greco definisce un «pericolo» per l’ordine sociale, gli «amori di donne al posto di uomini e uomini al posto di donne» perché «innumerevoli conseguenze sono derivate agli uomini privatamente e a intere città». Socci ricorda che addirittura -con buona pace di coloro che fantasticano di un’antica Grecia libertaria e accusano la Chiesa Cattolica di aver portato illiberalità e sessuofobia – Platone chiede di condannare anche i rapporti prematrimoniali e l’adulterio attraverso la legge. Questo dimostra anche che la famiglia eterosessuale (come fondamento della civiltà) e la legge naturale non è un’invenzione del cristianesimo, ma fondamento istituzionale esclusivo di tutte le civiltà precedenti il cristianesimo e di tutti i popoli.

Per concludere occorre segnalare un altro errore di Galimberti, quando considera Sant’Anselmo un omosessuale, amante del suo allievo Gilberto. Per far questo, ha spiegato Colafemmina, si è rifatto al volume “Cristianesimo, tolleranza, omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo” dell‘attivista omosessuale John Boswell, il quale ha tentato di strumentalizzare alcune epistole di Anselmo in cui sono contenute parole di grande affetto per un suo discepolo. Propaganda da quattro soldi. Non sarebbe forse meglio che Galimberti continuasse a copiare da altri, evitando il più possibile la “farina del suo sacco”?


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