l’articolo 15-2-2016 di Cosimo Perrotta
- Riequilibrare le economie europee
Non pensate che le esperienze negative che abbiamo ogni giorno contraddicano questo quadro. Le singole esperienze negative sono intollerabili se vengono rapportate ai modelli a cui la nostra società è abituata. Ma confrontate la nostra situazione con quella delle le società asiatiche, africane e dell’America Latina, oppure con quella europea di appena 60 anni fa, e vi renderete conto subito dell’enorme vantaggio che abbiamo.
Il secondo fattore dell’invecchiamento delle società ricche è anch’esso positivo. Per la legge della transizione demografica, un aumento del benessere nel lungo periodo non produce un aumento della natalità bensì la sua diminuzione, tanto più accentuata quanto maggiore è il benessere. Perché? Perché le coppie si sottraggono alla passività delle società agricole e cominciano a programmare i figli e a limitarne il numero. Ciò, sia per assicurare loro un’educazione migliore, sia per lasciare a se stesse una certa autonomia (il lavoro femminile fuori di casa è stato il vero motore di questa rivoluzione culturale e demografica).
Adesso però stiamo imparando che tutti questi progressi legati al benessere – nella cultura, nella produttività, nella salute, nella longevità – se portati troppo avanti rischiano di far deperire la società. I nostri bisogni essenziali sono soddisfatti; i nuovi beni e il consumismo – che obbliga a sostituire i i beni quando sono ancora utili – non bastano a portare avanti l’accumulazione. Ciò rende sempre più difficile l’occupazione dei giovani. Lo sottolineo: la disoccupazione non è frutto della mancanza di ricchezza, come sembra, ma della saturazione dei bisogni essenziali, che abbassa la crescita della domanda e scoraggia gli investimenti. Tanto, che molti capitali, non trovando un impiego utile nella produzione – dove ormai c’è una concorrenza eccessiva – vengono impiegati nella speculazione finanziaria, dove hanno creato un diffuso parassitismo e il crollo dell’etica degli affari.
Inoltre la scarsa occupazione non solo crea miseria fra gli operai e precarietà fra i giovani, ma rende anche incerto il benessere futuro generale: chi pagherà le future pensioni? Chi produrrà i redditi per rimpiazzare quelli attuali? Infine, anche se ci fosse lavoro sufficiente, come faremmo a svolgerlo se la popolazione media è troppo vecchia?
I ciurmadori che sbraitano contro gli arrivi degli immigrati devono rispondere a queste domande e ammettere un fatto: oggi abbiamo un estremo bisogno di nuovi lavoratori giovani; a livello europeo ce ne servono diverse decine di milioni; e questa forza lavoro non può che venire dai paesi poveri.
Si dirà, ma dove li impieghiamo, visto che c’è già la disoccupazione per noi? Ecco l’errore ottico che inganna moltissime persone. I nostri giovani sono abituati a un tenore di vita che è incompatibile con lavori umili e mal pagati. Quasi sempre, anche il loro alto livello di istruzione (su cui le famiglie hanno investito) e il reddito complessivo della famiglia rendono economicamente poco convenienti questi lavori. Le abitudini di vita e il maggior bisogno spingono invece gli immigrati a cercare questi lavori. In genere, sul mercato del lavoro la concorrenza tra immigrati e locali è marginale.
L’arrivo dei migranti – se lo favoriamo e lo discipliniamo – può riequilibrare la società europea non solo nella sua composizione demografica, ma anche nella distribuzione dei vari lavori e nel rapporto tra produttori e pensionati.
(in pubblicazione anche, con titolo un po’ variato, su www.postfilosofie.it e su humanfirst.it . La seconda parte apparirà il 7 marzo).