Immigrazione: da Mare Nostrum a Triton, che governance ha in mente l’Europa?

Creato il 27 novembre 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Salvatore Denaro

La crescita del fenomeno migratorio nel Mediterraneo e le numerose tragedie verificatesi nel Canale di Sicilia e al largo di Lampedusa hanno recentemente condotto l’Unione Europea a tentare di assumere un ruolo di maggiore responsabilità in materia di immigrazione e di controllo delle frontiere. In seguito alle costanti richieste da parte del governo italiano circa un maggiore impegno dell’Europa, lo scorso agosto Frontex, l’agenzia europea creata con il Regolamento 2007/2004 del Consiglio UE con lo scopo di gestire la cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri, ha annunciato la creazione della missione Frontex Plus – poi rinominata Triton – che, operativa dal 1° novembre, e integrando le due missioni già attive nel Mediterraneo (la Enea e la Hermes), dovrebbe sostituire gradualmente l’operazione italiana militare ed umanitaria Mare Nostrum.

Quest’ultima era iniziata il 18 ottobre 2013 con l’obiettivo di potenziare il controllo dei flussi migratori – già in essere nell’ambito della missione Constant Vigilance (2004) – attraverso azioni di Search and Rescue (SaR), nonché quello di contrastare coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti. Secondo le stime fornite dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ad oggi, oltre 165.000 migranti sono giunti in Europa attraverso il Mediterraneo centrale e, a fronte del salvataggio da parte dell’Italia di 140.000 persone, si stima che oltre 3.000 hanno perso la vita durante la traversata. Il bilancio finale di Mare Nostrum, secondo quanto emesso dal governo italiano, è di 558 interventi, 100.250 persone soccorse, 728 scafisti arrestati, 6 navi poste sotto sequestro, 499 morti durante le operazioni, 1.446 presunti dispersi, 192 cadaveri non ancora identificati. Mentre tutta l’operazione è costata 114 milioni di euro.

Alla base delle richieste italiane di un maggior coinvolgimento dell’Europa, peraltro auspicato anche dalle Nazione Unite tramite il suo portavoce Stephane Dujarric quando ha parlato della necessità di “uno sforzo internazionale”, ci sarebbero i circa 9,5 milioni di euro che l’Italia assegnava mensilmente all’operazione gestita dalla Marina Militare. Gli stanziamenti in favore dell’operazione Triton si aggirano ora intorno ai 3 milioni di euro mensili, all’interno di un budget totale previsto dalla Commissione europea di 92 milioni di euro. Sembra questo il nodo che ha spinto la stessa UNHCR e le maggiori associazioni umanitarie come Amnesty International a premere sul governo italiano affinché non accantoni Mare Nostrum. Appare del tutto logico che se Triton la sostituirà del tutto, il ridimensionamento delle risorse stanziate si tradurrà necessariamente in una diminuzione degli strumenti e dei mezzi a disposizione. Anche perché nella fase iniziale le risorse sono garantite da Frontex e dal Fondo Sicurezza Interna (ISF) ma dovranno poi essere gli Stati coinvolti a garantire il prosieguo dell’operazione [1].

Il Ministro Alfano ha da subito sottolineato come il risparmio economico per l’Italia sarà enorme; tuttavia, vista l’intensità e la frequenza degli sbarchi sulle coste italiane nell’ultimo anno, la nuova operazione potrebbe verosimilmente configurarsi come inadeguata nelle operazioni di salvataggio. Infatti, oltre alla diminuzione numerica dei mezzi e degli strumenti, Triton opererà non oltre le frontiere Schengen, mentre Mare Nostrum si spingeva fino alle acque internazionali (passando dunque da 175 a 30 miglia oltre le coste italiane). Un dettaglio non di poco conto se si considera che un simile campo d’azione ha permesso un elevato numero di salvataggi. Anche se il Ministro della Difesa Pinotti, in occasione della conferenza stampa per illustrare le caratteristiche di Triton e per archiviare Mare Nostrum, ha ribadito l’impegno dello Stato italiano a continuare a soccorrere i migranti in mare, appaiono sempre più fondate le perplessità operative e politiche rispetto al nuovo modo di affrontare un fenomeno che da tempo ha abbandonato il carattere dell’emergenza per diventare sempre più un fenomeno ordinario.

Fonte: Repubblica.it

Dall’operazione Triton emerge un problema politico evidente, riconducibile al desiderio di Bruxelles di rinchiudersi dentro i confini della cosiddetta “Fortezza Europa”, non in ragione di una reale minaccia, ma da coloro che fuggono da condizioni di vita inaccettabili, da guerre persecuzioni e regimi dittatoriali. È chiaro che Triton, essendo un’operazione di Frontex e quindi del sistema Schengen, non avrebbe potuto garantire quello che Mare Nostrum ha svolto fino ad ottobre; il problema è piuttosto quello di un’Europa che non ha fornito gli strumenti – politici ed economici – necessari affinché uno Stato membro come l’Italia potesse portare avanti un’operazione umanitaria di queste proporzioni. Più volte Bruxelles ha chiarito che l’Italia sarebbe stata libera di proseguire o concludere Mare Nostrum: un assist che il Ministro Alfano ha opportunamente raccolto, chiudendo l’operazione. La debolezza di Bruxelles quando parliamo di immigrazione è ancora troppo evidente.

La decisione di sostituire del tutto Mare Nostrum con una operazione oggettivamente inferiore dal punto di vista delle risorse e degli obiettivi ma di “respiro europeo”, sembra confermare le politiche programmatiche in tema immigrazione espresse in quest’ultimo periodo sia dai maggiori Paesi del vecchio continente che da Bruxelles. Fino a questo momento non si è vista una reale politica europea del Mediterraneo per i diritti umani, per la soluzione dei conflitti in essere, per un sistema integrato sulla protezione internazionale, né tanto meno una politica migratoria e per una gestione dei flussi di ingresso europea.

Quando parliamo di operazioni come Mare Nostrum e Triton occorre considerare non solamente i mezzi, gli strumenti, gli Stati coinvolti, i budget o le finalità mirate a colpire la criminalità organizzata transnazionale che lucra sul traffico di migranti, ma soprattutto le migliaia di richiedenti asilo che necessitano di accoglienza. Se su quest’ultimo punto le proposte non mancano, ciò che spesso manca è una reale volontà degli Stati membri ad abbandonare la propria sovranità su un tema così delicato.  Ad esempio, mai come adesso appare complicato effettuare una profonda riforma del Regolamento Dublino III [2] introducendo ad esempio lo status comune europeo di rifugiato; la creazione di un sistema di accoglienza europeo capace di introdurre una ripartizione equa dei rifugiati all’interno degli Stati membri, magari in base ad indici economici e demografici; l’introduzione del riconoscimento reciproco dello status di rifugiato da parte di tutti gli Stati membri o addirittura la creazione di un’Agenzia europea per l’asilo e l’immigrazione operante anche al di fuori dei confini europei [3]. Le difficoltà di riformare il sistema di accoglienza collocandolo parallelamente a quello della sicurezza e, più in generale, di operare una effettiva comunitarizzazione del settore immigrazione risiedono principalmente in una particolare condizione socio-politica del vecchio Continente.

Occorre innanzitutto considerare che dal punto di vista sociale, in un momento di crisi di consenso nei confronti delle istituzioni europee, si sta consolidando tra i cittadini europei una relazione sempre più intensa tra paura e fenomeno migratorio. La recente operazione europea di polizia denominata “Mos Maiorum” ha riposto proprio a questa esigenza: terminata lo scorso 26 ottobre, questa ha avuto l’obiettivo di identificare gli immigrati irregolari all’interno dello spazio Schengen e di contrastare i gruppi criminali che lucrano proprio sui traffici irregolari di migranti. Mos Maiorum è stata coordinata dal Ministero degli Interni italiano, ma si è realizzata con la collaborazione di tutte le polizie degli Stati membri. Secondo molte associazioni umanitarie e ONG come Statewatch e Amnesty International si sarebbe trattato di una vera e propria schedatura forzata; dall’Europarlamento, Barbara Spinelli ha parlato addirittura di una vera e propria retata su scala europea dove è stato consentito «l’uso della violenza nei casi ove fosse necessario». Si tratta dell’ultima di una lunga serie di operazioni simili che periodicamente si svolgono all’interno dei confini europei (come ad esempio Perkunas, Aphrodite, Aerodromus). Questa volta si è giunti a tale decisione in seguito alle proteste da parte degli Stati aderenti a Schengen nei confronti dell’Italia, colpevole di non applicare in modo capillare e rigoroso le norme previste da Dublino III, lasciando che numerosi immigrati irregolari valicassero i confini italiani per farsi identificare altrove. E la situazione politica interna degli Stati? È immune dall’immagine dell’immigrato come spauracchio sociale che ne insidia la sicurezza? Assolutamente no. E non potrebbe essere altrimenti.

In Germania, il numero crescente di salafiti e simpatizzanti del nuovo Stato Islamico sta riconducendo il Paese nelle paure post-11 settembre, quando Amburgo era il centro direzionale degli attentati alle Torri Gemelle. Nel Regno Unito David Cameron ha già lanciato la proposta di introdurre un limite agli ingressi per i lavoratori europei non qualificati, toccando uno dei capisaldi dell’Unione Europea, ovvero la libera circolazione dei lavoratori, tanto che Barroso in una recente intervista alla BBC ha replicato affermando che «la libertà di movimento è un principio molto importante nel mercato interno e il mio consiglio al Regno Unito è di non porre neanche in dubbio quel principio». Paure e diffidenze che stanno aumentando il consenso non solo dell’UKIP di Nigel Farage, ma anche del Front National di Marine le Pen, divenuto primo partito in Francia dopo le elezioni europee dello scorso maggio, e dell’Afd in Germania, che affronta il tema immigrazione con la stessa intransigenza degli altri partiti euroscettici. Sembra proprio che la crescita di questi partiti stia condizionando, sia pur ancora in maniera marginale, le scelte programmatiche sia di Bruxelles che dei Paesi membri.

In conclusione, sembra evidente che se l’Europa continuerà ad affrontare il tema immigrazione esclusivamente dal punto di vista della sicurezza forse riuscirà ad ottenere qualche consenso in più nel breve periodo e forse anche a controllare le pulsioni euroscettiche, ma certamente in futuro si troverà ad affrontare gli effetti controproducenti di una politica miope.

* Salvatore Denaro è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

[1] L’operazione Triton avrà a disposizione ogni mese due navi d’altura, due navi di pattuglia costiera, due motovedette, due aerei ed un elicottero. L’Italia, come Paese ospitante dell’operazione, metterà a disposizione un aereo, un pattugliatore d’altura e due pattugliatori costieri. Il centro di coordinamento internazionale ha luogo nella sede del Comando aeronavale della Guardia di Finanza a Pratica di Mare.

[2] Regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide.

[3] Proposte presentate in Camera dei Deputati per la riforma del Regolamento Dublino III – Mozione Nicoletti (http://www.michelenicoletti.eu/wp/wp-content/uploads/MOZIONE_DI_DUBLINO.pdf)

Photo credits: Massimo Sestini

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