di Giovanni Palladino
“L’immoralità pubblica non è caratterizzata solo dallo sperpero del denaro, dalle malversazioni e dai peculati. Applicare sistemi fiscali ingiusti o vessatori è immoralità; dare impieghi di Stato o di altri enti pubblici a persone incompetenti è immoralità; abusare della propria influenza o del proprio posto di consigliere, deputato, ministro, dirigente sindacale, nell’amministrazione della giustizia civile o penale, nell’esame dei concorsi pubblici, nelle assegnazioni di appalti o alterarne le decisioni è immoralità”.
Lo scriveva Luigi Sturzo il 3 novembre 1946 in un articolo dal titolo significativo di “MORALIZZIAMO LA VITA PUBBLICA”. Oggi possiamo aggiungere che è immoralità anche manipolare la moneta, come da oltre sei anni sta facendo la Banca Centrale statunitense (la famosa “Fed”), perché sta utilizzando un metodo scorretto per riparare gli enormi danni compiuti dalle grandi “investment banks”.
Queste banche, a partire dal primo decennio di questo secolo, hanno offerto ai tanti speculatori di professione nuovi prodotti finanziari molto rischiosi, che con l’economia reale hanno ben poco a che fare. E per evitare il loro fallimento, come avrebbero meritato, la Fed le ha salvate acquistando – con risorse finanziarie create dal nulla, come solo lei può fare – per centinaia di miliardi di dollari le obbligazioni da loro emesse e divenute “tossiche”, perché svalutate dalla pessima gestione del risparmio “catturato” dai grandi banchieri d’investimento.
Sempre con la stessa tecnica (stampa di moneta dal nulla), la Fed ha poi acquistato, anno dopo anno, titoli di Stato per centinaia di miliardi di dollari che il mercato non voleva per il forte aumento del debito pubblico, che con la presidenza Obama è raddoppiato da $9.000 a $18.000 miliardi.
Tutto questo è avvenuto in presenza di tassi d’interesse tenuti artificialmente bassi dalla Fed con la sua politica monetaria fortemente espansiva di “quantitative easing” (in sei anni la nuova liquidità creata dalla Banca Centrale Usa è stata di oltre $3.500 miliardi, una cifra di ben sei volte superiore alla media storica, cioè a quella normale).
Dallo scorso novembre la Fed ha per il momento sospeso questa politica espansiva, ma è molto probabile che presto sia costretta a iniettare nuova “droga” nel sistema. Bisogna infatti sapere che negli ultimi 12 mesi la Fed è stata costretta ad acquistare ben $556 miliardi di titoli di Stato e di obbligazioni ipotecarie (“mortgage-backed securities”) per evitare che il mancato acquisto da parte del mercato causasse un aumento dei tassi d’interesse (ecco l’artificio e la manipolazione della moneta).
La domanda è: chi sarà disposto ad acquistare un importo di titoli almeno analogo nel corso del 2015? È infatti certo che gli emittenti (il Tesoro e gli altri enti creditizi pubblici e privati) avranno bisogno di nuova liquidità. La risposta è: la Fed, a meno che non avvenga il miracolo di rivedere come forti acquirenti gli investitori americani ed esteri, con in testa la Cina, che da un anno non compra più titoli di Stato Usa (ne ha già “in pancia” per circa $1.300 miliardi, mentre la prudente e saggia Germania ne ha soltanto per $75 miliardi). E’ quindi molto probabile che la politica di “quantitative easing” verrà ripresa nei prossimi mesi, con conseguenze allarmanti per la credibilità della Fed (e degli Stati Uniti come paese debitore).
Bisogna poi considerare che la politica artificiale del basso costo del denaro ha incoraggiato centinaia di piccole e medie aziende petrolifere Usa a indebitarsi per $550 miliardi con prestiti bancari e con obbligazioni per finanziare la costosa ricerca di “shale oil” e “shale gas” (scisti bituminose). Debiti facilmente rimborsabili con il prezzo del barile di petrolio a $100, ma di difficile rimborso con il prezzo inferiore a $60. Di qui il recente forte ribasso delle quotazioni di queititoli petroliferi e il timore di fallimenti a catena, che la Fed non potrebbe evitare, perché non è in grado di controllare il prezzo dell’oro nero.
E a proposito di controlli, il vero scandalo è che la Fed è in effetti controllata dai suoi potenti controllati, le grandi “investment banks”, capaci nei giorni scorsi di convincere il Congresso Usa a cancellare le norme restrittive contro le attività speculative delle banche varate con la legge Dodd-Frank nel 2010. Ed è ormai evidente che i controllati controllano i controllori anche imponendo loro il varo di politiche monetarie immorali come il “quantitative easing”.
È una politica monetaria ora adottata anche dal Giappone, giunto a un astronomico 230% nel rapporto debito pubblico/pil, e in procinto di essere adottata dalla Banca Centrale Europea, ma con il forte dissenso della Germania, che ben conosce i pericoli di un debito pubblico e di una speculazione finanziaria fuori controllo. Si parla tanto di austerità economica, ma forse troppo poco di “austerità” morale dei primi controllori: i legislatori. Ma se a controllarli sono i controllati che delinquono…