si sa, è l'era dei vampiri. Solo che quelli dell'inglese Clanash Farjeon, edito da Gargoyle, sono davvero insoliti. Vampiri atipici, che di vampiresco hanno poco... ma che sono ben più temibili e brutali di quelli che animano i libri di genere. Questa premessa è necessaria per sgomberare il campo da equivoci: c'è poco di soprannaturale in questi romanzi e molto più di umano, bieco e terribile nelle storie di quest'attore teatrale che ha scoperto nella maturità la passione per la letteratura. I due romanzi sono in stretta connessione: unico è il protagonista e alcuni dei personaggi del primo si ritrovano nel secondo, quasi capitoli differenti di un'unica, sporca storia.
I vampiri di Ciudad Jarez
I vampiri dell'11 settembre
RECENSIONE I romanzi di Farjeon sono atipici. Dopo l'ottima prova con il vittoriano Le memorie di Jack lo Squartatore, l'Autore si è spostato ai giorni nostri, narrandone orrori reali e terribili. Si tratta di thriller con connotati horror, almeno a mio avviso, dove la nota predominante è data dalla suspance dell'intreccio e dalla costruzione del plot.
Nel primo volume, il lettore viene trascinato per la collottola nella cittadina di Ciudad Juarez, tristemente nota in tutto il mondo per le centinaia di migliaia di donne morte e scomparse. Posta al confine con gli Stati Uniti, crocevia di disperati, il deserto che la circonda è un immenso cimitero. Migliaia di donne brutalizzate e seviziate nei modi più atroci, uomini coinvolti nel traffico di droga e di immigrati clandestini.
In questo quadro finisce Michale Davenport, un cronista inglese ipocondriaco fissato con i felini, dotato di un'innata capacità di invischiarsi nelle situazioni più strampalate e pericolose. Infatti, a causa di una splendida tigre siberiana, finisce nelle mani di una famiglia di potenti e sanguinari trafficanti di droga, i Portillo. Non sfugge alle mire di indipendenza della sensuale Cecilia, una donna tanto sensuale quanto crudele, che cerca di usarlo per la sua vendetta personale. D'altra parte, anche il capofamiglia, Amado, è ben deciso a usare quel reporter ficcanaso per i suoi scopi: un summit con la mafia russa, per essere esatti.
Attorno a Davemport ruota un mondo dolente, dove l'orrore vero è dato dalle fotografie delle giovani donne morte, custodite in una sorta di sacrario della memoria da parte di uno dei personaggi secondari. Questi ultimi sono tanti, con destini intrecciati tra loro. Un affresco intricato e potente, uno spaccato crudele e irriverente di una cittadina che è al margine sotto diversi aspetti, una zona franca in cui non vi è altra legge se non quella della sopraffazione. I Portillo sono tra i principali responsabili delle morti delle ragazze Ciudad Juarez. Sono vampiri non perché ne bevano il sangue "nella maniera classica", quanto piuttosto per il piacere che provano nell'infliggere alle loro vittime crudeltà di ogni tipo e sofferenze terribili, da cui sembrano trarre forza. La storia si dipana con una serie di colpi di scena e personaggi in bilico tra il macabro e il grottesco, sino al finale drammatico, quasi liberatorio.
Il dato saliente di questi due volumi è il "come" viene affrontato il concetto di orrore. Non è dato da un elemento soprannaturale invasivo, ma dall'inquietudine sempre crescente con cui il protagonista, nell'una e nell'altra storia, comprende di essere invischiato in un gioco più grande di lui. Il soprannaturale è costruito, quasi celato da un gioco di rimandi, per apparire di colpo: ed è uno scenario squallido dietro un sipario fatto di menzogne. Non vi è nulla di paranormale e molto di umano: la meschinità di personaggi, sia quelli di fantasia che quelli reali, come il presidente Bush o lo stesso Cheney è forte, tangibile. Farjeon gioca usando il registro del grottesco, alternandolo a quello dell'iperrealistico. Il mix ottenuto è straordinariamente originale, graffiante, capace di catturare il lettore, entusiasmarlo e farlo riflettere. Cosa non facile in un libro di genere. Clanash Farjeon è un autore che conosce il suo mestiere e sa gestire bene trama e personaggi. Il suo horror mescola satira, atmosfere realistiche e denuncia civile attraverso uno stile ricco, con un largo uso di frasi lunghe e costruite, alternati a dialoghi serrati che alternano precisione giornalistica a momenti surreali.
Ciò che colpisce maggiormente di questi volumi è la capacità dell'Autore di porre domande, scomode e pesanti, su fatti di cronaca che hanno scosso le coscienze e, nel caso di Ciudad Juarez, che continuano ad avvenire. Questi volumi (sopratutto il primo, a mio avviso) rappresentano un esempio felice di letteratura di genere con un forte impegno sociale e politico, segno che i lettori sono in grado di svagarsi in maniera consapevole, attiva. I lettori desiderano divertirsi, è vero (e le scene surreali e divertenti che Farjeon riesce a confezionare sono davvero ben scritte), ma nello stesso tempo da degli imput, spunti di riflessione attuali. Perché vi è il silenzio sui reali esecutori della mattanza di donne e adolescenti? Perché nessuno osa chiedere quale mercato venga foraggiato dal flusso di denaro alimentato dal traffico di droga? E perché a distanza di dieci anni, ancora vi sono molti punti oscuri su ciò che accadde alle Torri Gemelle? Senza voler accogliere le teorie avanzate dall'Autore, che comunque rientrano nella fiction, rimane immutato il nocciolo della questione: chi muove davvero le fila di questo mondo?
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