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L'ingresso della Turchia in Europa non sarebbe la pavida resa a conquistatori pronti a distruggere la civiltà occidentale e la stessa costruzione europea: sarebbe al contrario il sintomo incoraggiante di una riconciliazione tra civiltà, l'occasione per il rafforzamento, il rinvigorimento, il ringiovanimento dell'Unione. E non ci sono dubbi sull'appartenenza della Turchia all'Europa: appartenenza che è oggi vocazione, scelta, autoimposizione. Storicamente, l'Impero ottomano ha fatto parte per secoli del sistema europeo: e nel 1856, alla Conferenza della pace di Parigi per la conclusione diplomatica della guerra di Crimea, ha ottenuto la formale inclusione nel concerto delle grandi potenze (allora tutte europee). Geograficamente, è vero che la Turchia è europea, nell'accezione comune, solo per uno spicchio di Tracia orientale al di qua del Bosforo, mentre il cuore anatolico è in Asia: ma le appartenenze geografiche non sono immutabili e variano al variare dei contesti storico-culturali e dei progetti politici realizzati. Politicamente, la Turchia fa parte da oltre 60 anni del mondo occidentale ed europeo: attraverso l'adesione al Consiglio d'Europa (1949) e alla Nato (1952), attraverso il processo di integrazione europeo a partire dall'accordo di associazione (1963) e passando per la costituzione dell'unione doganale (1996) fino all'ottenimento dello status di candidato (consiglio di Helsinki del dicembre 1999, i negoziati sono ufficialmente partiti nell'ottobre 2005). Fin dagli anni Novanta è parte integrante degli sforzi multilaterali europei per la stabilizzazione e la ricostruzione dell'Europa sud-orientale; disputa tutte le più note competizioni sportive continentali, i suoi studenti possono usufruire dei programmi paneuropei di scambi universitari (l'Erasmus su tutti); Istanbul è stata nel 2010 la capitale europea della cultura: con numerose iniziative per il recupero delle sue radici millenarie e altamente diversificate.
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