febbraio21
By: Maria Grazia Paparelli
Se vogliamo darne una definizione più specifica, più tecnica, che guarda meno al fattore umano, possiamo citare le parole dello stesso Howe:
Crowdsourcing è quando un’azienda prende il lavoro, di solito svolto da impiegati, e lo esternalizza ad un ampio gruppo indefinito di persone, nella forma di una call aperta, generalmente tramite internet”
Ci sono moltissimi esempi di come le persone si aggreghino spontaneamente attorno ad una passione, a volte per il puro piacere di imparare e contribuire alla conoscenza su un determinato argomento, altre per dare sfogo alla propria creatività. Wikipedia, I-Stock Photo, Zoopa ne sono la prova. Ma ciò che ha catturato la mia attenzione in questi giorni è stato [Im]possible Living.
L’idea è semplice ed è quella di rivalutare in modo sostenibile il patrimonio mondiale degli edifici abbandonati attraverso il crowdsourcing: “the first global community born to map and give new life to abandoned buildings”. Italiana, che mastica benissimo l’inglese, la piattaforma web[Im]possible Living è stata fondata da Daniela Galvani, di professione architetto, e da Andrea Sesta, ingegnere, accompagnati da un team di giovani creativi.
La community, composta da fotografi, architetti, cittadini e appassionati, ha lo scopo di mappare gli edifici abbandonati del mondo, facendo una catalogazione per località e descrizione. Si parte dalla creazione di una scheda del luogo/edificio abbandonato, con la possibilità di inserire foto edinformazioni sulla struttura. Online da dicembre 2011, la piattaforma è però ancora in fase beta.
[Im]possible Living si presenta come un valido strumento a disposizione di tutti per avere maggior cura delle aree urbane in cui viviamo. Un modo più profondo di essere cittadini, una partecipazione attiva che può contribuire a lasciare alle generazioni future un ambiente più ospitale.