IMU – quando l’iniquo è grottesco

Creato il 09 dicembre 2012 da Carturco @carturco

Tempo di saldo della “famigerata” IMU, contro la quale si appuntano le ire di tanti contribuenti e dei loro sostenitori a caccia di consensi elettorali.

(immagine tratta da “blogosfere”)

Penso di poter scommettere che, in vista delle prossime elezioni, fioccheranno le promesse irresponsabili rivolte ad abolire questa “tassa iniqua”.

Come è noto il conto sarà particolarmente salato per i possessori di “seconde case” o, più esattamente, di case non adibite ad “abitazione principale” del nucleo familiare, perché è su queste case che si scaricheranno gli aumenti di imposta cui molti enti locali hanno dovuto ricorrere per fronteggiare le proprie spese. Tanto più che, molto saggiamente, le nuove norme eviteranno la possibilità che si possa spacciare per “abitazione principale” tutte quelle separatamente intestate a marito, moglie e, magari, figli. Il tutto, alla fine, appare piuttosto ragionevole: il fatto che chi può permettersi di possedere altre case, oltre a quella in cui dimora, sia chiamato a contribuire in termini più che proporzionali, risponde a un normale e costituzionale principio di progressività dell’imposta. 

Mugugnare contro questa imposta, oltre tutto, appare alquanto ridicolo, quando a mugugnare sono  forze politiche e sociali che si distinguono nel caldeggiare la necessità di ricorrere a “imposte sul patrimonio”,  e  di una  “riforma federalista” grazie alla quale si portano più vicino al cittadino le possibilità di controllo sulla imposizione fiscale e sulla spesa pubblica.

Certamente, peraltro, anche qui non mancano le iniquità, a cominciare dalla attribuzione dei valori della “rendita catastale”, per cui ancora oggi abitazioni in pieno centro cittadino sono ampiamente sottovalutate rispetto a quelle di periferia. (Ecco un bell’esempio in cui l’ostilità avverso il libero mercato e le sue presunte iniquità produce iniquità reali ancora più cospicue.) Tuttavia,  a questo proposito la legge prevede la possibilità  e i mezzi per porvi, sia pure  gradualmente, rimedio.

C’è una casistica in cui, però, l’iniquità si tinge decisamente dei colori del grottesco. E’ il caso, specificamente, di chi possiede una sola casa, ma non può abitarvi – magari per il fatto che essa è troppo piccola rispetto alle dimensioni  del nucleo familiare – ed è quindi costretto a eleggere a propria “abitazione principale” una casa in affitto.

Costui dovrà pagare, per l’unica casa posseduta, la stessa tariffa applicata alle seconde, terze e quarte case di chi ha l’”abitazione principale” in un immobile di sua proprietà. Casa in affitto per l’acquisto della quale,  magari, il locatore avrà anche beneficiato delle agevolazioni fiscali previste per l’acquisto di “prima casa”. E in qualche caso, perché no, per giunta l’affitto da corrispondere sarà pure – in toto o in parte – un affitto “in nero”, che è ancora assai spesso l’unica via attraverso la quale riuscire a trovare un’abitazione in affitto (sempre grazie a quelle misure che pretendono di contrastare le “iniquità” del libero mercato…).

La legge non prevede che a questa particolare iniquità – per cui l’imposta assume addirittura un carattere regressivo – possa in qualche modo porsi rimedio o compenso.

Sicuramente, per grande che possa essere la nostra disistima della cosiddetta “casta”, non è ipotizzabile che si tratti di un caso deliberatamente provocato da un legislatore altrettanto deliberatamente perverso. E, tuttavia, il fatto che tutto ciò  sia unicamente imputabile ad un legislatore, e ad una pubblica amministrazione che ne costituisce il “supporto tecnico”, irrimediabilmente pecioni e incapaci di ben legiferare – magari assecondati da una pubblica opinione neghittosa e confusionaria – non è di nessuna consolazione per chi deve subirne le conseguenze.

Anzi!


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