di Alfonso Nannariello
«Aprile è il più crudele dei mesi: genera lillà da terra morta».
Quello del 1954 deve essere stato particolarmente feroce. Nevicò per tutto il tempo, e il freddo ghiacciò i fiori e i frutti alle piante.
Sull’albero di famiglia, però, spuntai io. Fui concepito allora, per quell’insolita e abbondante nevicata durata tutto il mese.
Quell’avvenimento, per i miei che non avevano fatto il viaggio di nozze, fu come un’offerta speciale, un biglietto eccezionale. Mio padre dovette cogliere l’occasione di quella vacanza dal lavoro e svuotare tutta la cartucciera della sua virilità.
Ogni figlio che nasce apporta un danno, e mamma di certo non voleva essere danneggiata. Forse non voleva diventare madre. Forse aveva forte la paura del momento di sgravarsi, saputo che sua madre era morta in seguito al suo parto.
Deve essere stato l’eccesso di timore ad averle fatto abortire il primo figlio. Quando si accorse di me di sicuro ancora combatteva con il suo spavento, e dovette riprendere a pensare se farmi uscire a luce o se sacrificare.
Al batticuore di mia madre per un figlio da partorire doveva corrispondere un bisogno rimastole in dormiveglia. Mamma doveva volersi sentire ancora un po’ bambina, doveva voler vivere l’infanzia avuta appena. Doveva voler vivere come non aveva in pieno mai vissuto: nell’abbraccio della mamma mai vista, neppure in una foto.
Antonia Donatiello fu la seconda moglie di suo padre. Non fu certo una matrigna ostile perché fece davvero da seconda madre. Mamma, però, doveva aver sentito di non sentirsi figlia.