In albis -10-

Da Nivangiosiovara @NivangioSiovara
La verità è che davvero non era nemmeno in grado di preparare decentemente la colazione per i piccoli, perse un sacco di tempo e diventò ovvia preda del nervosismo, una volta configuratasi in lui l'idea dell'orrido reato che consisteva nel portare i figli in ritardo a scuola per poi, di conseguenza, giungere oltre all'orario ammissibile anche all'appuntamento di lavoro, cose che non erano mai accadute prima e che solo ad immaginarsele c'era da sentirsi come un fil di fumo al vento. Così, nell'uscire, poi, non s'avvicinò neppure alla camera dove riposava la moglie, ma la salutò dalla porta d'ingresso, a voce alta, per non correre il rischio di dover perdere tempo anche lì, e lei gli rispose qualcosa che lui non capì troppo bene ma che decise che per forza doveva essere un saluto di risposta ed allora afferrò per il colletto i due bambini e li trascinò fuori di casa, che quelli avrebbero voluto andar di là a baciar la mamma prima d'uscire, che l'avevano sempre fatto, protestavano, e sembrava loro brutto andar fuori in quella maniera e tutto questo non fece che spazientire ancor di più il padre, che tenne duro, li spinse fuori, la bambina allora puntò i piedi ed il fratello, tenendola per mano, le diceva qualcosa all'orecchio, poi, via, correndo giù per le scale, col papà sempre avanti di qualche gradino, pronto a fermarsi ad ogni pianerottolo per voltarsi ad incitarli, come un cane da pastore, ed eccoli finalmente fuori, fuori, fuori all'aria aperta, era ora, oh!e poi, subito, dentro ad una macchina, e poi via, incastrati in mezzo ad altre macchine.
Gli sembrava incredibile, ma era davvero successo: aveva portato i bambini a scuola in ritardo. Pensò che fosse una delle cose più disdicevoli che gli fossero mai capitate. Suggerì, così, ai figli: “Se vi chiedono qualcosa, rispondetegli che siete arrivati in ritardo perché la mamma non sta bene.” “Mamma sta male?” Glielo chiesero insieme, all'unisono. La bambina teneva gli occhioni spalancati, quelli del bambino erano fessure strette. “No, no. Certo che no. Mamma sta benissimo. Era solo per inventare una scusa.” “Papà, c'hai sempre raccomandato di non raccontare bugie, soprattutto a scuola.” “Ed infatti non la direte. Direte che siete arrivati in ritardo per colpa del traffico, ecco.” Loro annuirono. “Avete visto anche voi... è la verità.” D'altra parte, per come tentasse di rigirarsi, una bugia, ormai, lui l'aveva detta: che sua moglie stesse male era vero. Se c'era una colpa, in fondo, era proprio sua, di lei, se quel giorno i bambini erano arrivati in ritardo, colpa sua se aveva dovuto mentire loro. Pensò che forse sarebbe stato meglio entrare a scuola con i bambini, entrare e scusarsi, ma con chi? Cercare di riparare al danno, in qualche modo. Ma no, non avrebbe potuto. L'appuntamento. Gli sarebbero costate, queste scuse, il salatissimo prezzo di un sicuro ritardo all'appuntamento. Il solo pensiero gli diede alla testa: sentì un calore intollerabile risalire il suo corpo come un'onda malevola ed all'istante, immediatamente, aprì la portiera, sbatté fuori i figli e subito ripartì, paonazzo. Allora il pensiero della moglie lo preoccupò. Allora, imprevedibilmente. Gli sembrò che la casa, l' azzurro cielo, il mondo intero stessero crollando sulla sua testa. Sfrecciò. Si fa per dire, sfrecciare, che le altre autovetture in strada erano così tante che temette di perdersi, di non riconoscersi nemmeno più, lì in mezzo, di trovarsi nell'auto di qualcun altro, assumersi la necessità di raggiungere il luogo che il guidatore che aveva sostituito doveva raggiungere, trasformarsi in quel qualcunaltro, un altro che come lui, dentro alla propria macchina dica “io” fingendo di riconoscersi, magari quello tre-quattro file avanti, che arriverà qualche secondo prima, ovunque stia andando, prima di lui. Poi ripensò a lei, nel letto, a riposarsi, lei, ed al ritardo accumulato, alla bugia appena detta ed ecco la rabbia, sì, la rabbia che gli salì al cervello, sentì una fitta allo stomaco, poi, tutta quest'energia al lavoro dentro di lui, esagerata a prima vista, anzi, oggettivamente spropositata, inoculata tutta in un solo, unico corpo, energia sufficiente per caricare un esercito all'assalto, gli esplose fuori, dalla bocca, e poi fiorì in fondo alle dita, dove prese la forma di due pugni sbattuti contro al volante, poi sul clacson, e che infine riempì l'aria del suono di bestemmie gridate al mondo, contro al mondo, inusuali, violente, diremmo cieche.