In amore niente regole

Creato il 14 agosto 2010 da Ludacri87

Clooney alla sua terza regia. Entra in gioco il fattore sophisticated comedy. Ed il discorso si fa complesso nel giudizio dell’opera. “In amore niente regole” è una rappresentazione farsesca che è priva di ogni inventiva. Si riallaccia alla commedia sacra, anni ’20, anni ’30, ne ripropone meccanismi e chiavi di volta per unire le scene, introduce la partitura sonora notevole con un pizzico di scenografico eccedente (i suoni stanno bene da sé, non c’è bisogno di una cantante dinanzi ad un microfono che pervade la scena, peccato veniale nel bellissimo “Good night, and Good luck”, ripetizione forzata e manierista in questo caso). Clooney aspira ad un cinema glorioso, dell’epoca classica, e per questo ricorre alla tematica del giornalismo (“Prima Pagina”) e al primo ruggito femminista. E’ un misto di Hawks, Capra, molto lontano dallo slapstick. In passato, abbiamo segnalato come parte della cinematografia degli anni 20-30 sia da replicarsi, per un coraggio ed una capacità di resa ancora oggi riletta in tanti modi. Il problema di “In amore niente regole” è che non ha alcuna carica eversiva, non riesce a distruggere tabù, non ha verve. E’ una pellicola che rende omaggio ad un genere, non riuscendo per motivi di tipo cronologico ed artistico a smorzare una situazione di grande impatto nella società attuale, come è appunto la rivelazione del falso (che il film intravede nell'azione della giornalista a discapito del campione, finto eroe di guerra) . Nel film, si parla della Grande Guerra, e l’eroismo di certi uomini puzza di falsità lontano un miglio, è un eroismo nazionalista, che fa bene alla nazione nei suoi sentimenti patriottici ma non corrisponde alla verità storica. E’ un eroismo falso perché le sue prove sono pagate e perché modifica la storia nel suo significato più profondo, tendendo ad elevare allo stato di star un ragazzetto senza doti particolari, se non nell’attuazione di schemi particolari nel gioco del football ai suoi albori. Se la resa spiccatamente partigiana si confaceva alla struttura e alla finezza della precedente opera, con le tribolazioni dell’annullamento, su ogni fronte, dell’elemento comunista da parte del terribile senatore McCarthy, la scelta della commedia sofisticata, non tanto per il genere in sé, ma per l’uso che se ne fa, smorza il tentativo politico che anima la vis artistica del Clooney ispirato. Problematica la storia, piena di buchi, problematica la regia, che gioca troppo con sé stessa, problematico l’uso della fotografia, ma la cosa che fa infuriare è la recitazione. Renèe Zellweger, Oscar per “Cold Mountain”, non riesce a perdere l’alone di simpatia che costruisce, gioco forza, attorno ad un personaggio. Il difetto è formale ma invalida anche la sostanza del personaggio. Clooney bravino, tende a copiare, citare, riprendere troppo della tradizione passata, accentuando il lato piacione e guascone, mentre più in parte il naso a patata John Krasinski. Consigliato a chi, comunque, è stuzzicato dall’idea che il vecchio cinema possa essere riproposto nel nostro tempo, consci che il richiamo all’epoca d’oro è molto diverso, e alle schiere di fan del bel Clooney, sporco di fango e giocatore senza regole. Alcuni siparietti gradevoli, nulla più, sotto la sufficienza in modo evidente e molte riserve.

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