Musica e arte visiva: profili della stessa luna in Ka-Pow e Fabrizio Basciano.
di Pasquale Allegro
“Nei sogni non esiste una logica a noi conosciuta. Possiamo solo lasciarci trascinare via”. (Ka-Pow)
copertina "Le 7 perle di Belzebù"
Ci siamo abbandonati ai sogni, e quando poi abbiamo riconsiderato la vita ne abbiamo fatto suoni e ritratti. È un po’ come morirne di troppa vita, però poi ne abbiamo conservato un ricordo, quello che più ci ha affascinato e che più strepitava dentro, e così di noi ci siamo fatti ancora suoni e ritratti. Noi siamo artisti, per quello che vale dirsi sognatori e affabulatori a noi stessi, dirsi disegnatori o musicisti, gli uni e gli altri sotto la stessa luna, padroni della stessa ombra. Un mondo fragile
Noi siamo un po’ Chiara Basciano, in arte Ka-Pow, quando disegniamo realtà come se non potessero mai accadere, vignette su teste parlanti, mondi in fumo su cartoncino e su tela; e noi siamo anche un po’ Fabrizio Basciano, pronti a svelare a chi ci ascolta che il ritmo serrato dei giorni finisce sempre in pasto a quel tempo che non c’appartiene; mentre la musica e l’arte son varchi, di un paradiso che sì che c’appartiene, in un istante perfetto in cui melodia e bellezza sono anche le troppe domande e il bisogno di qualcosa che tarda a venire.
l'onnipotenza
Dita troppo grandi
Sembra poi un volto che raramente sorride, l’Onnipotenza di Chiara che s’attarda a disporre del mondo, ritratto di uomo che da sé si crea e da sé si distrugge, per un’idea malsana de L’Arte,musicata da Fabrizio come fosse una danza nel gorgo, risucchiata e seriale, catena di montaggio del superuomo che blocca la bici, che scende e non ha più voglia di giocare. È l’uomo che in Ottantaquattro guarda l’orologio e non ama più, non ama più, perché non ha contatti se non in differita, come in Làska con le mani a stringersi in una finestra a parte, come in windows, disgregati ma sistemati e operativi. È l’uomo che ha nascosto il bambino in fondo alla sua notte personale, che poggia la scala per raggiungere il gigante fuori dalla sua portata, perché dalle Dita troppo grandi, e la scala è abbandonata perché è così tanto faticoso essere speciale. È l’uomo spalmato sul divano a guardare il Festival dell’ovvio. Ottantaquattro
Però poi nella narrazione sincopata di Relatività della nozione di tempo, cogliamo l’invito di Fabrizio ad allacciarci al nostro personale tempo, unico e solo ipnotico e personale tempo, per ogni uomo e per ogni creatura. L’invito ad inginocchiarsi in mezzo alla strada, in giorni post-moderni di centri affollati, per conquistarsi uno spazio di preghiera e un momento da rubare al click clock di ritardi robotici, per lasciarsi scappare un sospiro. Che bellezza. Noi, così, finalmente dentro le fasi della nostra vita, a spulciare tra il bene e il male, filosofi intrizziti quando il cielo è una coperta grigia e tutt’intorno è bianco, noi finalmente come Chiara e Fabrizio alla ricerca della Causa della genesi della Luna, incantati ad osservare la città che poco a poco si trasforma tra la luce e il buio. Cheese