In Bhutan per il festival di paro

Creato il 04 gennaio 2016 da Viaggiarenews

A differenza del conosciuto e frequentatissimo Nepal, il Bhutan costituisce una delle nazioni più remote dell’area himalayana, e al tempo stesso anche una delle più integre e interessanti. Compresso tra le fitte giungle tropicali dell’India a sud e gli aridi altopiani del Tibet cinese a nord , questo regno grande quanto la Svizzera ma abitato da appena 700 mila anime ha aperto le frontiere agli stranieri soltanto nel 1974, ponendo termine ad un volontario isolamento millenario che aveva conservato fino al XX° secolo una società feudale e medievale. Ma anche in grado di recuperare in pochi decenni e di assimilare concetti moderni e addirittura avveniristici: ben un terzo del territorio è stato dichiarato parco nazionale, tutti i monumenti storici vengono protetti, è severamente vietato fumare ovunque per legge e i sacchetti di plastica sono stati aboliti da tempo. Uno dei pochi regni buddisti ad aver mantenuto un giusto equilibrio tra tradizione e modernità. Paese piuttosto strano il Bhutan, profondamente impregnato dalla filosofia buddista, ma soprattutto lontano un universo dalla nostra mentalità. Secondo i parametri occidentali basati sul PIL (Prodotto interno lordo), si tratterebbe di una delle nazioni più povere della terra; in realtà qui nessuno muore di fame, non esistono mendicanti, né disoccupati, né criminalità, il 90 % della popolazione ha accesso gratis alla sanità, profilattici compresi, il 78 all’acqua potabile, l’88 al sistema fognario e l’aspettativa di vita negli ultimi 14 anni è passata da 47 a 66 anni. Parametri da sogno nel continente indiano. La spiegazione risiede nel fatto che in Bhutan, terra ricca di spiritualità e misticismo che noi nemmeno riusciamo ad immaginare, ragionano in maniera completamente diversa dalla nostra, con priorità e valori del tutto differenti, tanto da aver sostituito il PIL con il FIL (Felicità interna lorda). Questa sigla, condivisa e sostenuta anche dal Dalai Lama, pone la persona al centro dello sviluppo, riconoscendo che l’individuo ha sì bisogni materiali, ma prima ancora spirituali ed emozionali; il miglioramento degli standard di vita deve comprendere il benessere interiore, i valori culturali e la protezione dell’ambiente, mentre lo sviluppo deve puntare ad aumentare la felicità delle persone, piuttosto che alla crescita economica. I bhutanesi diffidano della ricchezza perché temono i danni che potrebbero derivare alle loro tradizioni culturali. Provate a dirlo nel resto del mondo.

Cosa può offrire allo straniero questo paese uscito appena ieri dal feudalesimo medievale ? Almeno tre cose: la varietà ambientale e paesaggistica, l’architettura e i festival religiosi. Il territorio spazia dalle pianure nella valle del Brahmaputra, poco sopra il livello del mare, alle colline e agli altopiani centrali a 2-3.000 m fortemente incisi dai fiumi, fino alle cime del versante sud dell’Himalaya alte fino a 7.300 m, molte ancora inviolate perché interdette agli alpinisti. Il 72 % si presenta ricoperto da foreste intatte, il 20 da nevi perenni, il 26 da aree protette che ospitano elefanti, leopardi, tigri, scimmie, rinoceronti, orsi, panda, cervi, antilopi e tanti uccelli, con una delle maggiori biodiversità del pianeta. Singolari le abitazioni rurali, assai simili agli chalet svizzeri, in un contesto lindo e ordinato da meritare l’appellativo di Svizzera del continente indiano. Ovunque il paesaggio risulta dominato dagli dzong (ce ne sono 1.300), imponenti costruzioni situate in punti strategici, nello stesso tempo monasteri, templi, fortezze militari e centri amministrativi, che da sempre svolgono un’imprescindibile controllo sul territorio, costituendo sedi dei poteri politici, militari e religiosi. Esiste poi una quantità incredibile di edifici religiosi: i goemba sono monasteri buddisti ubicati spesso in luoghi appartati e di non facile accesso, contenenti uno o più templi con le cappelle di preghiera, gli altari e le statue delle divinità. Infine i chorten sono dei piccoli stupa presenti un po’ ovunque, contenenti reliquie e luoghi di preghiera e di offerte. Dopo la distruzione cinese delle opere d’arte in Tibet, quelle del Bhutan sono rimaste le uniche testimonianze della cultura religiosa e artistica del buddismo tibetano. Gran parte degli dzong e dei monasteri organizzano una grande festa annuale, le quali costituiscono momenti di intensa suggestione scenografica e di aggregazione sociale, con musiche, danze, canti, rappresentazioni teatrali, cerimonie religiose, preghiere, processioni votive, benedizioni e mercatini, che durano tre giorni dall’alba al pomeriggio, il tutto al suono di tamburi, gong, trombe e cimbali. Dato il loro elevato numero, in ogni momento dell’anno ce ne sono parecchi in contemporanea

L’operatore urbinate “Apatam Viaggi” (tel. 0722 32 94 88, www.apatam.it, ), specializzato dal 1980 in turismo culturale con accompagnamento qualificato, propone in Bhutan un tour di gruppo di 13 giorni, dedicati alla visita dei principali monumenti storici e artistici del paese in occasione del celebre Festival di Paro, la più importante manifestazione religiosa e folkloristica che si svolge in uno dei monasteri più grandi e visitati.

Partenza il 20 marzo 2016 con voli di linea Lufthansa da vari aeroporti italiani via Francoforte e Delhji, percorso in pullman privato e veicoli 4×4 con accompagnatore dall’Italia, pernottamenti nei migliori lodge e resort esistenti lungo l’itinerario con pensione completa, quote da 4.300 euro in doppia tutto compreso.

Giulio Badini