Marina Piconese è imprenditrice e giornalista. Il suo racconto “Cicchetto e l’equilibrista felice” è un poetico viaggio attraverso quella che è la nostra fissità, la nostra inerzia, il desiderio rispetto a ciò che vediamo.
Come hai scelto l’idea per il racconto che è stato inserito nella raccolta?
«È venuta da sé, si è creata in maniera magica, un pomeriggio, davanti a poche righe sullo schermo. Felice e Cicchetto hanno preso una forma che nemmeno io mi aspettavo! All’inizio sapevo solo che a far compagnia a un gatto ci sarebbe stato un uomo anziano, ma il passato di quest’uomo era ancora un futuro, per me.»
Ci sono dei punti che ricordano le trasformazioni e le scelte di Alberto Sordi ne “L’arte di arrangiarsi”… Che cosa significa per te la precarietà delle scelte?
«La precarietà che tento di descrivere è quella delle scelte personali, quotidiane o epocali che siano; di tutte quelle vite che rimangono “in medias res”, di tutte quelle persone che non hanno né la volontà, né la fortuna, di apportare alla propria esistenza quei cambiamenti radicali che le scuoterebbero dal loro inevitabile torpore. La fortuna e la volontà, in questo gioco di andi-rivieni, si danno una mano l’un l’altra: se non c’è volontà, la fortuna non ti seguirà mai; ma se non c’è fortuna, nessuna volontà potrà salvarti! Restare in equilibrio tra ciò che realmente siamo e ciò che vorremmo davvero essere è un dono di pochi, ma l’equilibrio, per definizione, è sempre precario. In sostanza, ci si può anche gettare nel vuoto, ma solo se si hanno “le ali adatte” per volare.»
Cos’è per te la scrittura?
«È una compagnia, un sogno recondito, uno sfogo inevitabile; una delle prime cose che ho imparato nella vita e una delle poche cose che ancora so fare senza sforzo. Naturale come respirare.»
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