In carcere con Marco Ferrini (Matsyavatara das)

Da Graziano
“E’ duro morire di maggio…” cantava Fabrizio De André, ma non è neanche facile vivere in carcere quando la primavera è al culmine. E proprio ieri, 18 maggio, per la prima volta, ho messo piede in un carcere italiano, insieme a due amici e a Marco Ferrini (Matsyavatara das) per un incontro con detenuti studenti. Un gigantesco agente ci ha subito annunciato che non sarebbe stato possibile usare amplificazione: questo avrebbe compromesso il fragile apparato fonatorio di Marco Ferrini impedendo una buona riuscita dell’incontro. Alle nostre pacatissime, ulteriori richieste un secondo agente, meno imponente e più diplomatico, ci ha con rigida gentilezza invitato a considerare la priorità del luogo: la sicurezza ed il rispetto delle procedure. Rassegnati e un po’ preoccupati ci siamo diretti nella zona di clausura ed infine nella più ampia tra le minuscole aule scolastiche del carcere. Credo di non essere un tipo particolarmente sensitivo e meno ancora sentimentale, ma vi assicuro che fin dai primi passi dopo la porta d’ingresso ho provato una pesante emozione. Era solo l’inizio. Le ingombranti uniformi delle guardie, forse ancora invernali, contrastavano con l’abbigliamento  estivo dei detenuti studenti, comune ai giovani di tutto il mondo, jeans con camicia o maglietta, scarpe da ginnastica, puliti, ben vestiti ed inaspettatamente vivaci, partecipativi, molti di loro chiaramente dotati di un’intelligenza pronta, acuta ed in alcuni casi desiderosi di comunicare un’erudizione non comune. Mi è subito caduto uno stereotipo negativo. All’assenza d’amplificazione ha provveduto fin da subito un’attenta e silenziosa concentrazione alle parole di Marco Ferrini, il quale non ha ceduto a nessuna forma di buonismo e parlando di Divina Commedia e Bhagavad Gita, fin dall’inizio ha incentrato il discorso sul libero arbitrio e sulla relativa assunzione di responsabilità. Ha parlato costantemente di libertà a persone detenute, prospettando un riscatto a chi deve pagare un debito enorme; forse proprio per il comunicare diretto ed amichevole  c’è stata risonanza nel cuore di queste persone, risvegliando e rivelando la loro parte migliore, quel quid spirituale che immagino condividiamo con l’Essere Supremo. A persone pesantemente compromesse è stato prospettato di andare oltre le determinanti ambientali, di recuperare il ruolo della volontà per acquisire un equilibrio interiore che può far fronte a qualsiasi tempesta della vita, per trasformare il punto di vista su noi stessi e sull’ambiente. Marco Ferrini ha parlato del viaggio di Dante nella commedia come di un passaggio da servo a libertade. L’astro luminoso della Bhagavad-gita e della Divina Commedia è infatti proprio la libertà: noi siamo l’esito delle nostre scelte, perché oltre al temperamento e all’ambiente c’è il libero arbitrio che a prescindere dalle circostanze può trasformare, può far ripensare a se stessi per indirizzaci verso la luce. Seconda parte con tante e interessanti domande, e sempre più nasceva in me una schizofrenica tendenza che non mi faceva vedere come una sola persona quella stessa che interveniva con tanta passione e quella che si era presa una pesantissima condanna. Sapevo che dove ci trovavamo c’erano persone che all’età di quarant’anni avevano già soggiornato la metà della propria vita in carcere, che vi si trovavano detenuti con sulle spalle reati orribili, e vederli così composti, attenti, mentre parlavano sensatamente e in modo competente di Dante e della Bhagavad-gita, ha mosso dentro di me qualcosa di cui ancora non riesco ad esserne ben cosciente. Ricordo però molto bene che nonostante si sia entrati in carcere alle 14,00 per uscirne quattro ore dopo (due in più del previsto per le tante domande!), sarei rimasto ancora insieme a questa gente e la stessa cosa ho scorto negli sguardi di Andrea ed Alessandra che insieme a me accompagnavano Matsyavatara Prabhu. Il Maestro si è procurata un’afonia, ma io e i miei due compagni abbiamo avuto una realizzazione concreta di quel sentimento d’amore “che move il sole e l’altre stelle”. Non scorderò gli occhi di quei fratelli.
Tagged: Bhagavadgita, Divina Commedia, marco ferrini, matsyavatara