Sullo sfondo di quella che è la strada più famosa e trafficata della sua città – Roma - il regista privo di una sceneggiatura e solo con la voglia di voler ampliare le sue vedute (e le nostre), spia da vicino, con sguardo discreto e lontano da pregiudizi, quella parte di popolazione nascosta all'interno del Grande Raccordo Anulare e appartenente ad un mondo infinitesimale ma esistente. Interseca una serie di personaggi sostando sulle loro vite e situazioni quel poco che basta, che serve a catturarne scorrere del tempo e assorbirne frammenti di essenza. Esplora meticolosamente orizzonti a noi sconosciuti, senza mai esagerare, senza mai risultare pedante o invadente ma riprendendo solo il necessario utile alla causa.
L’atteggiamento assunto da parte di Rosi allontana moltissimo perciò il suo “Sacro GRA” dall’essere semplicemente un prodotto documentaristico, lo fa identificare più come una pellicola corale, una di quelle dove le diversissime vite di più personaggi scorrono sullo stesso territorio senza mai incrociarsi, accomunate esclusivamente da una lunga pista d’asfalto circostante, talmente dispersiva da non permettere mai loro (e a noi) un effettivo incontro.
Ma invece Rosi da questa routine trova il modo di innalzare una pausa, di sottomettere i rumori dei clacson, dei motori e della strada alzando altissimo il volume sulle attività assai più tranquille di questi esseri impercettibili. Mette in mostra la sua capacità di analisi e la sana inventiva, elimina il traffico asfissiante delle automobili per evitare ci distragga e, come per magia, lo ripristina unicamente a viaggio concluso. Nell'istante che sia noi che il conducente abbiamo già riposto le nostre auto e siamo già leggermente più ricchi di consapevolezza.
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