In conversation with: Silvia Celeste Calcagno

Creato il 16 giugno 2013 da Theartship

La formazione

SCC la domanda d’apertura riguarda la tua formazione artistica, a partire dagli studi compiuti fino alle esperienze che ti hanno portato oggi a scegliere questo tipo di professione.

Sono cresciuta ad Albisola, città d’arte legata in particolare alla ceramica che ha accolto numerosi artisti come  Lucio Fontana, Asger Jorn , Wifredo Lam, solo per citarne alcuni.

La mia formazione è iniziata al Liceo Artistico, ho poi frequentato l’Accademia Ligustica di Belle Arti e contemporaneamente mi sono diplomata Ceramista Designer in Grès. Quest’ultima esperienza, fondamentale per la mia crescita artistica, ha consolidato il mio livello tecnico e sviluppato ulteriormente il mio percorso creativo.

Quindi la scelta della ceramica come mezzo d’espressione viene dalla tua terra, dalle tue tradizioni?

Certamente sì, come ho detto la città in cui sono nata mi ha permesso di “respirare arte” sin da bambina, mentre la scelta  di utilizzare il grès come mezzo d’espressione è nata solo dopo la conoscenza approfondita delle sue potenzialità.

 E qui in Emilia Romagna hai trovato la stessa atmosfera? 

Il mio lavoro ha riscontrato un grande interesse di pubblico e critica, ho avuto il piacere di vedere persone abituate e attente a recepire il messaggio creativo.

La mostra

Come nasce l’idea della mostra e che tipo di scelta allestitiva è stata adottata?

Questa mostra è nata in maniera molto disinvolta. Sono stata contattata da Daniela Giovannini (direttore della Galleria il Pomo da Damo n.d.r.) che entusiasta del mio lavoro artistico ha reso immediatamente disponibile la galleria e il relativo Art Director Massimiliano Renzi per sviluppare il mio progetto.

La “libertà” che ho avuto nel gestire lo spazio ha reso tangibile il dialogo tra l’ambiente e le opere, la forza che trasuda da esse è direttamente proporzionale all’allestimento delle stesse. Credo da sempre che sia fondamentale assimilare il luogo, le luci, le ombre, senza trascurare nessun dettaglio, così da non dover forzare il contenuto all’interno del contenitore. Il caso ha voluto che non solo abbia trovato affinità personali con Daniela Giovannini e Moreno Marani, persone splendide, ma che anche la galleria stessa fosse coerente con la mia idea progettuale.

Celeste, so happy  era già in gestazione mentre presentavo “Nerosensibile” con la curatela di Luca Beatrice, presso lo spazio Lucio Fontana ad Albissola, ma ha preso corpo a Dicembre attraverso le prime constatazioni fotografiche.

La coazione a ripetere

Nel tuo modus operandi privilegi 2 media: il video e la fotografia. Entrambi vengono impiegati per ripetere e rinsaldare una narrazione a ciclo continuo (quello che Luca Beatrice nel catalogo a corredo della mostra ha brillantemente definito perpetuazione dell’immagine in formelle di gres). Qual è lo zoccolo duro e quali sono i temi della tua ricerca?

La mia poetica inganna e gioca con le contraddizioni, da una parte la materia per antonomasia, la ceramica; dall’altra la leggerezza, l’immagine fotografica e il video. Spesso nelle mie opere, anche risultato di lunghe sperimentazioni tecniche, la terra acquista un’ estrema levità misurandosi e infine sublimandosi con l’immagine. Le trame delle mie opere, installazioni performative, custodiscono la stessa dicotomia: bellezza e dolore, carnalità e anima, sangue e pensiero.

Analizzo tramite una costante reiterazione l’ossessiva riproduzione fotografica di me stessa, notifico la vita attraverso la morte, il sonno attraverso l’incubo, il dolore attraverso il corpo.

La tecnica

L’uso del gres e della porcellana e di una complessa tecnica di fotoceramica sperimentale rendono i tuoi lavori interessanti anche sotto il profilo del processo. Vuoi parlare di questo approccio?

Sì, tengo a precisare che il processo alchemico che adotto è completamente nuovo, distante dalla fotoceramica tradizionale, questo si svela nel risultato finale che dilata il vigore del mezzo. La fotografia e il grès si congiungono e ciascun materiale approfitta delle particolarità dell’altro.

Queste caratteristiche danno vita ad un unicum artistico, opere mai replicabili in edizioni numeriche, come accade in fotografia.

Borderline è anche il titolo della mostra allestita al Mar Ravenna. Mi sembra che parte del tuo lavoro (soprattutto quello che riguarda la “passione”) possa avere un collegamento con gli studi sull’isteria, di Charcot alla Salpetriere, non solo a livello tematico ma anche come resa dei soggetti in fase di scatto. Esiste quest’ affinità o la mia è solo una speculazione critica?

In quasi tutti i miei recenti  lavori, in effetti c’è  questo forte collegamento; narrazioni che viaggiano sul limen tra realtà e follia.

Celeste, parla il linguaggio del sangue e del vuoto, si muove, si cerca e si perde nella sua stessa immagine riflessa. La sua rabbia, la nevrosi costituiscono anche il leit motive del video “Celeste, so happy” dove una donna ripresa di schiena, lava e rilava a ritmi sempre più rapidi e ossessivi lo stesso bicchiere.

Celeste è divorata dal nulla che corrode il suo Io esistenziale e la carne stessa.

Questo rapporto dialettico, confine tra due forze contrastanti è sempre alla base della tua ricerca?

E’ spesso alla base della mia ricerca.

Vale la regola degli opposti, il vuoto si trova nel pieno.1

Il tempo è sospeso.2

Hai quindi la necessità di assumere una forza e il suo contrario per poterla indagare? 

Frequentemente ho l’esigenza di misurare la presenza e l’assenza, lo scarto tra l’essere e il non essere.

“  Un giorno strapperò un campo di carne, le mie unghie, le sue ciglia… l’abito rosso, le calze nere.  Un giorno brucerò il suo Dio, i miei capelli, il suo sorriso, questo muro grigio… il giorno bianco. Un giorno dimenticherò  la gelosia, la fiducia… tutto il rancore, questo amore, il suo corpo, il suo silenzio “ ( da Celeste,

so happy ).

 

 

1   Luca Beatrice ( dal catalogo della mostra ” Nerosesibile” luglio 2012)

2  Angela Madesani  ( Silvia Celeste Calcagno, Silvana Editoriale 2013)

Il Soggetto

Scegliersi come veicolo di una narrazione è una decisione forte che ha dei precedenti storici come Gina Pane e Marina Abramovic evidentemente affini. Tuttavia nei tuoi atti performativi, trapassati su immagine come segno traccia dell’è stato, si condensano stilemi più ovattati e morbidi, quasi purificati e sublimati. Perché hai scelto di usare te stessa per raccontare questa passione?

Ho sempre scelto di usarmi come soggetto, non potrei fare altrimenti. In questo modo divento regista delle mie azioni, pongo sotto i riflettori il mio corpo e la fatica dell’azione reiterata, ma il mio corpo non è mai il primo attore, i veri protagonisti  sono gli stati viscerali profondi che  si rivelano nelle azioni performative dalle quali derivano numerosissime constatazioni, spesso catturate attraverso autoscatti.

Quando termini i tuoi lavori ti senti meglio? Esiste una componente di transfer tale per cui innestarle su un supporto esteriore coincide con il loro abbandono?

Non essendo una scelta ma un’esigenza, il transfer è sempre presente e mi permette di districare nodi come avviene in un percorso analitico, durante il quale non sempre l’emozione è positiva, ma sicuramente liberatoria, parlo della fase performativa  legata alle constatazioni.

La mostra

Questa mostra de Il Pomo da Damo cosa ha avuto di diverso rispetto alle altre mostre che hai fatto con Luca Beatrice nel tuo paese d’origine, cosa ti lascia e che cosa di questo  porti con te per i tuoi progetti futuri. In legamento, che tipo di onorificenze e quale tipo di soddisfazioni ti riserva il futuro prossimo.

Ogni progetto, ha un diverso sentire, Celeste, so happy è stato presentato in contemporanea a Imola e a Milano, al MIA Milan Image Art Fair, in concomitanza con l’uscita del  libro ” Silvia Celeste Calcagno” edito da Silvana Editoriale a cura di Angela Madesani.

Queste  corrispondenze hanno dato vita ad una sorta di circuito che ne ha incrementato l’importanza. Non credo si possano fare paragoni tra spazi fisici, mentali e temporali differenti, ognuno ha un valore intrinseco molto soggettivo legato al momento, quasi all’attimo.

Pensi sia necessario per un’artista ma anche per le realtà culturali riuscire a mettersi sempre in rete, pensi possa produrre migliori risultati rispetto a delle idee singolari?

Nel  mio lavoro è fondamentale la coerenza e l’autenticità di un progetto che viene immediatamente avvertito da chi è predisposto a percepire. Certamente tutti i canali di comunicazione costituiscono un veicolo importante.

In che modo ti rapporti con i curatori?

Considero la curatela indispensabile per la buona riuscita di un evento; ma c’è di più: analizzando la mia esperienza, il rapporto che instauro con chi si “prende cura” di un mio progetto diventa momento di crescita personale ineluttabile.

L’incontro con Luca Beatrice è stata una svolta nel mio percorso.

L’analisi del lavoro sviluppata con Angela Madesani e i nostri incontri, mi hanno permesso di riflettere su quello che è stato il mio cammino negli ultimi due anni, la sua capacità di entrare con professionalità e sensibilità estrema al fulcro del mio sentire non solo ha dato vita a questa puntuale edizione ma mi ha concesso uno studio  ancora più minuzioso del mio percepire.

I progetti

Parliamo dei tuoi progetti futuri, cosa ha in cantiere Silvia Celeste Calcagno?

Ho ricevuto in questi giorni un importante riconoscimento al MIC Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. Questo é un passo considerevole soprattutto perché ho partecipato con un’opera particolare che legava in un unicum vari linguaggi. Il mio lavoro vive di contaminazioni che sono alla base delle mie installazioni.

La regola degli opposti della quale ti parlavo prima vale anche in questi casi; ho esposto un’installazione ceramica al MIA e un’altra che fondeva grès, fotografia, proiezione e sonoro al MIC, un connubio singolare che però è stato capito e premiato. Le mie opere non si etichettano facilmente, non appartengono totalmente al mondo della fotografia, né a quello della ceramica ma ad una nuova visione partecipativa. Incessantemente l’ansia concettuale primeggia.

In autunno mi confronterò con un materiale nuovo, il marmo. Farò quest’esperienza al Loft Miramarmi di Vicenza.  L’ occasione è il risultato del Premio Speciale Artisti in Residenza, che ho ricevuto a Venezia al Laguna Art Prize 2013.

Nella Galleria PH Neutro di Verona, la mia galleria di riferimento, che di recente ha inaugurato la nuova sede, propongo fino al mese di agosto un’ installazione affiancata da altri artisti tra cui Jefferson Hayman e Beth Moon.

Sono stata invitata in Danimarca, patria natia di Asger Jorn,  per un progetto di Residenza d’Artista frutto di uno scambio culturale con la mia città Albissola  Marina, dove per anni l’artista danese ha lavorato.

Tra pochi giorni il mio lavoro sarà presente a “La Voce del Corpo”, un’importante evento culturale ideato da Bruno Freddi con la direzione artistica di Vittorio Comi, patrocinato dalla Regione Lombardia, che vede coinvolta la città di Osnago in provincia di Lecco.

Sto  inoltre catalogando parte delle mie opere per il  secondo volume  “Il Corpo Solitario – l’Autoscatto nella Fotografia Contemporanea” di Giorgio Bonomi.

Possiamo dire che hai delle buone basi su cui sviluppare la tua progettualità, solide fondamenta su cui intraprendere un cammino.  Vuoi porgere i tuoi ringraziamenti a qualcuno?

Voglio ringraziare i direttori dello spazio espositivo di Imola: Daniela Giovannini e Moreno Marani, persone meravigliose, con le quali si è creato un ottimo rapporto di stima e di affetto che stento a spiegare.

La mia galleria di riferimento PH Neutro Fotografia-Fine Art , con sede a Verona e a Pietrasanta, in particolare la direttrice Annamaria Schiavon Zanetti che crede moltissimo in me, in questo nuovo e anomalo approccio fotografico e alla potenza di questo messaggio sublimato. La direttrice del MIC di Faenza, Claudia Casali, persona di straordinaria competenza per la forza che mi ha sempre trasmesso.

Ringrazio con gioia Matteo Zauli, direttore del Museo Carlo Zauli di Faenza, per aver introdotto in modo sublime il mio lavoro durante la presentazione della mostra qui ad Imola. Matteo, come Claudia, che conoscono bene il ruolo della ceramica nell’arte contemporanea, hanno capito perfettamente il percorso che ho intrapreso.

La curiosità

Se avessi una bacchetta magica e potessi creare il tuo museo immaginario che artisti sceglieresti?

Sono molto istintiva e il primo nome che direttamente mi arriva dal cuore alla mente è Gina Pane.

Rappresenta un unicum nella ricerca sperimentale di quegli anni e forse nella storia dell’arte in generale; mi ha sempre incuriosito la sua capacità di toccare vertici estremi pur  mantenendo una sorta di muro invalicabile teso all’intimismo.


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