In un certo senso, è l’abitudine a salvarci, a non pensarlo; l’abitudine di vederlo ogni giorno per parti, mai interamente, come invece vedi un altro dall’esterno, coricato oppure venirti incontro.
Di quello si puoi dire ‘ che colorito ‘, oppure: ‘ di certo è ammalato ‘, ma di te, di lui, del tuo corpo, quando davvero t’accorgi del danno? Quando puoi dire, prima dell’eco o degli esami accurati, ‘ecco, era questo ’? Nemmeno lo specchio ti è più fedele: non riesci mai, quando ti guardi, a vederci un altro, come dovresti.
Certo, se sono palesi i danni subiti, se hanno ceduto le smosse pareti o non vedi i contorni, se hai la frattura al calcagno oppure i sussulti epilettici, ti fai la diagnosi e accetti. Ma se hai i dolori più strani e leggeri, un livido che non sai spiegarti o un neo silenzioso – sintomi vaghi e perciò indecifrabili – non riesci a salvarti. Allora il tuo corpo diventa un enigma, inutili le incerte diagnosi, le cose le sai troppo tardi.
Antonio Fiori