Interviste culinarie di Federica Gnomo
Oggi salutiamo e ringraziamo l‘autore Anna Maria Fabiano – Immagina una piazza – ed. Ferrari , per averci aperto la porta della sua cucina e averci regalato PASTA E PATATE A RA TIEDDRA un piatto tipico cosentino gustosissimo. La Piazza è il mondo e la sua negazione, è la folla ma anche la solitudine, è la “roba” ma è anche la fuga da essa. La Piazza è l’emblema della follia, intesa come negazione del compromesso, della menzogna necessaria ma tagliente, dell’essere come gli altri, per forza, per necessità, per costrizione. Lei, la protagonista, parla a un consesso immaginario di avvocati, ombre, lettori, ma soprattutto a Lui, il Giudice, che alla fine dovrà pronunciare la sua condanna. O la sua assoluzione. Per essere stata diversa, per aver scelto e indossato la diversità a costo di ferite sanguinanti. Per essere stata addirittura, ché forse la sua nascita è stato solo un errore. Surreale nel suo incipit e nella prima parte, lo stile diventa narrativo e colloquiale man mano, per poi tornare alla partenza, ma con tinte più sfumate, con la rabbia stemperata e con il delirio ormai dilagante. Piccolo consiglio per chi si accosta a questo libro: non avere fretta, non voltare la pagina nell’attesa del colpo di scena. Gustarlo lentamente, come un vino bianco fresco che ci dia sollievo dall’arsura e al tempo stesso ce ne provochi dell’altra, di arsura. Quella che ci faccia sentire parte di quel consesso, per dimenticare il timbro con cui spesso, incautamente, bolliamo chi non aderisce al sistema.
La prima domanda di rito è: le piace mangiare bene? E cucinare?
Beh, diciamo che mi piace mangiare, soprattutto negli ultimi anni. Da ragazza, e anche oltre, ero invece abbastanza distaccata dal cibo, tranne se si trattava di pizza. Sono innamorata della pizza da sempre. Bene? Se per ‘bene’ si intende roba ricercata no, perché amo molto i cibi semplici e leggeri. Sono attratta dalla dieta mediterranea: pasta, pomodori, verdure ecc. Ah, poi son molto golosa di dolci. Cucinare lo adoro, anche se non sono costante e soprattutto non ho sempre il tempo per farlo. Seguo le ricette, mi piace cercarne sempre, ma poi le modifico, perché mi piace inventare. Lo fa per dovere o per piacere? Per entrambi! A seconda delle circostanze. Il dovere c’è, per il bisogno di “accudire” la famiglia. Il piacere consiste nella possibilità di creare, inventare, mescolare ingredienti, in po’ come per la scrittura, dove adoro costruire personaggi nei quali confluiscono tante personalità diverse, magari conosciute e da me rielaborate in ottiche sempre nuove.
Invita amici o è più spesso invitato? Invito più spesso amici e parenti a casa mia. Mi piace avere gente e mi piace molto la convivialità. I cenacoli cultural-musicali sono la mia passione. Non amo apparecchiare la tavola con roba ricercata: preferisco oggetti rustici e pratici. A casa mia ognuno si deve sentire come fosse a casa propria. Se poi c’è anche una chitarra e un libro di cui parlare, sono felice.
Ha mai conquistato amici o un uomo cucinando? Penso proprio di sì. Amici tanti. Perché quando mi ci metto, mi riesce anche di allestire un buffet vario e per decine e decine di persone. Poi ci sono dei piatti che mi riescono particolarmente. Spesso gli amici vengono a casa per gustare la mia ‘parmigiana di melanzane’ o i miei variegati antipasti a base di verdura.
Vivrebbe con una compagna o un compagno che non sa mettere mani ai fornelli? Addirittura lo preferisco. Non amo molto avere gente intorno, quando sono ai fornelli. Non sono attratta dall’uomo che cucina, ecco, anche se sono vissuta in una famiglia dove i miei fratelli, ad esempio, erano e sono ottimi cuochi. Il compagno mi piace accudirlo io, e preparargli le sorprese, quando è stanco e magari un po’ preoccupato.
Quando ha scoperto questa sua passione? Da bambina. Appena potevo, mi mettevo ai fornelli e mi cimentavo in cose semplici, tipo brodini o il ‘polpettone dolce’ da tenere in ghiacciaia e offrire alle amiche. Approfittavo dell’assenza della mamma e poi mi gettavo nei miei esperimenti, con un leggero batticuore.
Ci racconta il suo primo ricordo legato al cibo? Non so se sia il primo, ma di certo è il più particolare. Da bambina ero inappetente e soprattutto detestavo la carne. Mia mamma mi mandava spesso a dormire dalla sorella sia perché ero felice di stare con le mie cugine sia perché zia e zio avevano il potere di farmi mangiare. Una volta però, presa dalla disperazione per quella bistecca che proprio non ne voleva sapere di scendere giù, cominciai a guardare con interesse un mobiletto che stava accanto alla tavola, ma un po’ discosto dal muro. Così, appena gli zii si distraevano un attimo, i pezzettini di carne passavano dalla mia bocca alla mano e da quella … sul pavimento, dietro il mobiletto! Un altro ricordo è legato a Napoli, dove per la prima volta assaggiai gli spaghetti alle vongole e mia mamma, che li aveva tanto desiderati, me li cedette in cambio dei banali spaghetti al pomodoro che io avevo ordinato come sempre.
Ha un piatto che ama e uno che detesta? Non amo molto la carne in genere, anche se la mangio e detesto il fegato, che mi veniva propinato da bambina perché “mi faceva bene” ma il mio stomaco lo respingeva. Amo invece la ‘pasta asciutta’, soprattutto spaghetti, ma qualunque tipo, purché piena di sugo e di parmigiano.
Un colore dominante proprio di cibi che la disgustano? Il rosso, colore del sangue delle bistecche. Mi fa pensare all’animale soppresso e mi angoscia.
Quando è in fase creativa ha un rito scaramantico legato al cibo? Prende caffè? O tè, una bibita speciale per stare fermo a scrivere? Quando sono in fase creativa sorseggio volentieri la crema di limone. Nello scrivere ‘Immagina una piazza’ ne ho fatta fuori tanta. È un liquore che preparo io stessa. Mi scendeva bene, perché scrivere questo romanzo non è stato facile e quindi mi occorreva addolcirmi il palato, di tanto in tanto.
Scrive mai in cucina? No, mai, ma scrivo in soggiorno che è adiacente alla cucina. Nel caminetto sempre acceso d’inverno arde una bella fiamma. In estate invece me ne sto nel mio studio, che affaccia su un prato verde e dalla cui finestra si gusta un panorama mozzafiato. Non vedo il mare, anche se è come lo vedessi. Il mare è sempre presente nei miei romanzi, come è stato detto da più parti, e io lo sento anche senza fisicità, lo porto dentro. Ho bisogno di guardare paesaggi e di affondare lo sguardo nella natura, per scrivere.
Si compra cibo pronto ( tramezzini, pizza, snack) o si cucina anche quando è molto preso dalla scrittura? Se sono molto occupata a scrivere e ho scadenze immediate, capita che io compri del cibo pronto, ma in genere mi organizzo e cucino anche se sono presa dalla scrittura, perché comunque ho una serie di piatti veloci da realizzare. Anzi, mi viene meglio scrivere se alterno la cucina alla parola da togliere fuori. Così l’ispirazione guadagna nutrimento!
Che tipo di cibo desidera di più quando scrive ed è preso dal suo lavoro? Salato o dolce? Entrambi, anche se preferisco il dolce. Come ho detto, il soggiorno è adiacente alla cucina e ogni tanto vado a sgranocchiare noccioline e mandorle o pezzetti di cioccolato (nocciolato e possibilmente Novi). Oppure taralli e mandarini, in inverno e chicchi d’uva in estate.
Ha un aneddoto legato al cibo da raccontarci? O una cosa carina e particolare che le è accaduta? Ne avrei tanti, tutti abbastanza simpatici, ma racconto il più particolare. Una volta l’ho fatta grossa: era estate e stavo in campagna, al solito con zie e zii, e le adorate cugine./sorelle. Approfittando del sonno pomeridiano delle zie, assieme alla mia coetanea Cettina detta Ketti (avevamo tredici anni) ho acceso un piccolo fuoco, cercando rametti e foglie secche e qualche pezzo di legno che la contadina affittante teneva da parte. Poi ci siamo messe a pelare patate, e abbiamo allestito una pasta particolare che naturalmente è venuta tutta bruciata e ci ha causato una bella punizione per il danno apportato alla pentola. Questo episodio lo racconto nel mio romanzo “Il colore del cielo”, dove ho inserito molti episodi della mia infanzia.
Lei che tipo di scrittore è, che genere affronta? E quando esce a cena con amici o per festeggiare una pubblicazione che tipo di locale preferisce? Cosa tende a ordinare? Che scrittrice sono? Scrivo romanzi e racconti di memoria, o sociali e comunque sempre a sfondo psicologico e con un finale catartico. Ho per amica una tendenza alla psicologia che tenda a scavare nelle ragioni dei miei personaggi, che sono spesso donne ma anche uomini particolari, anche se sempre filtrati dallo sguardo femminile. Come in “Immagina una piazza”, dove la mia protagonista lotta a modo suo contro un mondo che lei avverte ostile e pieno di compromessi e sceglie però la strada più difficile. Quando vado a cena fuori, solitamente preferisco locali molto intimi, e possibilmente rustici nell’arredamento. Sono abitudinaria e tendo a tornare sempre negli stessi posti, dove sono cliente abituale e conosco bene i gestori, con i quali sono in ottimi rapporti. Per festeggiare una pubblicazione o un evento letterario, di solito scelgo locali della città vecchia, se sono a Cosenza, e se in altre città mi piace comunque cercare luoghi tipici, un po’ crepuscolari, magari in viuzze o angoli appartati, con una luce soffusa e romantica, molto parigina. Con tanto legno, tinte pastello e se possibile musica diffusa. Quanto alle ordinazioni, preferisco i primi piatti o gli antipasti. Pochissimo la carne e il pesce, a seconda dell’umore.
Nelle sue presentazioni offre un buffet? Pensa sia gradevole per gli ascoltatori intervenuti? Tende a fare un aperitivo con due olive e patatine o a offrire quasi un pasto completo?
Mi è capitato di organizzare varie tipologie di presentazioni, sia di romanzi miei sia di altri, e qualche volta sì, ho anche offerto un buffet, come è successo alla Libreria “Equilibri” di Milano dove è stata anche organizzata una degustazione di vini dell’Oltre Po provenienti dalle “Cantine Rossella”.
Ha mai usato il cibo in qualche storia? Ad esempio in “Immagina una piazza” ci sono passi che ricordano cibi o profumi di cibo? Il cibo è mai protagonista? Ho usato il cibo qualche volta, sì, ma solo per sottolineare intimismo (birrerie, ad esempio, o locali che sappiano di mare con odore di pesce e fumo denso), oppure assenza di cibo per fare cenno alla magrezza del personaggio di turno. In questo romanzo in particolare sì, ci sono dei passi che alludono al cibo, come gelati alla panna, o panetterie, o bar. Il tutto per creare metafore e atmosfere.
“Immagina una piazza” a che ricetta lo legherebbe, e perché? Lo legherei… alla caponata. Quella siciliana, dico. Agrodolce. Ricca di ingredienti. Con il sapore dolciastro in sordina che fa da contrasto al sapore deciso di base. Zucchero e aceto. Proprio perché è una trama piena di contrasti, come la progonista che mescola l’amore con l’odio, il perdono con il rancore, la vita con la morte. Dolce e salato, e soprattutto complessità di elementi.
Per concludere ci potrebbe regalare una sua ricetta? Quella che le riesce meglio?
PASTA E PATATE A RA TIEDDRA. Piatto tipico cosentino.
È una ricetta che passa di generazione in generazione a Cosenza. Occorrono patate tagliate a fette (non grosse né sottili), maltagliati, pomodori freschi a pezzetti-(o pelati se è inverno), sale, origano, aglio e pecorino (ma va bene anche il parmigiano), mollica di pane e olio d’oliva. Si prepara un sugo freddo con i pomodori a pezzetti, l’origano, l’aglio, il sale e l’olio. Si dispongono nella teglia le patate, sopra i maltagliati (tutto crudo) e il sugo prima preparato. Poi il pecorino, e si ricomincia il giro. Si possono fare più strati. Infine si copre il tutto con la mollica di pane e un filo d’olio e si mette in forno. Cottura molto lenta, con aggiunta di acqua tiepida di tanto in tanto, facendola scendere ai bordi. Un tempo la si cuoceva direttamente sulla piastra, in una pentola di alluminio. Grazie. Deve essere buonissima!
Quale complimento le piace di più come cuoco? E come scrittore? Che riesco a cucinare piatti saporiti che però non “restano sullo stomaco” (uso i condimenti con parsimonia). Come scrittrice mi piace quando mi dicono che emoziono, che i miei personaggi toccano il cuore e le loro storie fanno riflettere.
Che frase tratta dalla sua opera o dalla sua esperienza di scrittore possiamo portarci nel cuore uscendo dalla sua cucina? «Non avere paura» le dico, «non ti faranno niente. Ci sarò io a difenderti. Sei una bambina piccola, anche se ti hanno truccata da vecchia. Fanno sempre così, sai? Truccano tutto, tutto truccano per mascherare il mondo e sottrarlo all’Occhio che vigila. Ne fanno tante, bambina, per chiudere il cerchio. Non sopportano le linee libere. Non vogliono incidentali ma solo parallele. Vogliono solo questo, loro, vogliono che tutto si chiuda e così sia.»