Oggi salutiamo e ringraziamo l‘autore Raffaella Candoli che nel maggio 2011 ha pubblicato per Historica “Un Nobel in famiglia”, inaugurando così, per tale casa editrice, la collana Favole.
Ha un piatto che ama e uno che detesta? “Potrei mangiare pizza napoletana e pomodori in gratin anche tutti i giorni, ma non parlatemi di fegato, cervella, lumache o rane”. Un colore dominante proprio di cibi che la disgustano? “Quello tra il verde e il giallo”
Quando è in fase creativa ha un rito scaramantico legato al cibo? Prende caffè? O tè, una bibita speciale per stare fermo a scrivere? “Quando sono in fase creativa ho bisogno che al gusto si associ un profumo gradevole: quello della cioccolata in tazza ad esempio, o di un tè aromatico al bergamotto, o un infuso all’ibiscus, al mirtillo, alle bacche di rosa canina dal delizioso colore rosa intenso”. Scrive mai in cucina? “Sì, scrivo in cucina quando ho un appunto immediato da prendere, la classica idea che potrebbe sfuggire, ma preferisco la comodità del mio studio”. Altrimenti dove ama scrivere? e a che ora le viene più naturale? “Scrivo di getto e, dunque, il computer è un ottimo alleato che consente correzioni immediate. Uso un computer fisso, al tavolo del mio studio che ha due porte finestra che danno sul balcone fiorito. Prediligo le ore della notte, quando in casa c’è silenzio e il ronfare del mio cocker, Nobel appunto, mi accompagna dandomi serenità e tranquillità”.
Si compra cibo pronto ( tramezzini, pizza, snack) o si cucina anche quando è molto preso dalla scrittura? “Quando sono presa da ciò che sto scrivendo ma lo stomaco brontola faccio comunque una pausa veloce e mi cucino un sandwich, o un panino caldo, qualcosa di più di un toast, con mozzarella filante, maionese, funghi, prosciutto”. Che tipo di cibo desidera di più quando scrive ed è preso dal suo lavoro? Salato o dolce? “Amo i gusti decisi, sia dolci che salati”. Ha un aneddoto legato al cibo da raccontarci? O una cosa carina e particolare che le è accaduta? “Da molti anni ospito in accoglienza temporanea una bambina bielorussa che da tre anni è diventata mia figlia a tutti gli effetti. Durante questi soggiorni a Cesena le veniva voglia di cibo di casa e così cimentavamo e lo facciamo tuttora nella preparazione dei draniki, le frittelle di patate. Lei invece, quando tornava a Minsk e aveva nostalgia del cibo italiano, a casa della nonna tentava di preparare gli gnocchi, ma un giorno mi confessò che “patate no stanno bene taccate in aqua calda”.
Lei è uno scrittore per l’infanzia, quando esce a cena con i suoi figli, o amici che tipo di locale preferisce? “Oltre a Giada ho un figliolone di 27 anni, Niko; se esco a cena con loro, faccio scegliere a loro il locale, ma quando esco con mio marito adoro le trattorie che hanno il buon sapore contadino, ma non disdegniamo anche il ristorante più elegante e ben arredato dove c’è silenzio per conversare e spazio tra i tavoli, dove il servizio è accurato e ti senti accudito ”. Oppure per festeggiare una pubblicazione? Cosa tende a ordinare in un locale? “Ultimamente, insieme ad un attore professionista ho proposto delle letture animate dei miei racconti cui ho abbinato una merenda con torte realizzate dalla cakes design “Alice e lo Stregatto”, che ha realizzato i miei personaggi in miniatura, in pasta di zucchero. Veri capolavori che fa male al cuore dover trafiggere con la lama del coltello, ma riscuotono grande successo tra i bambini e i loro genitori. Il senso della festa per me è rappresentato proprio da qualcosa di dolce, torta, semifreddo o il sempre gradito tiramisù”.
Nelle sue presentazioni offre un buffet? Pensa sia gradevole per gli ascoltatori intervenuti? Tende a fare un aperitivo con due olive e patatine o a offrire quasi un pasto completo? “Mi pare che offrire un buffet sia elegante e gradevole, ma mi oriento per qualcosa di sobrio e veloce, anche se preferisco ci sia sempre sia dolce che salato. E’ quella l’occasione anche per scambiare qualche chiacchiera con gli intervenuti”.
In “Un Nobel in famiglia” ci sono passi che ricordano cibi o profumi di cibo? “Beh, in un passo del racconto di ‘Un Nobel in famiglia’ narro del desiderio di normalità di una coppia di cocker dell’allevamento delle Grandi Querce, della voglia di cibarsi di un bell’osso, un piatto di tagliatelle, un avanzo della cena, inviandoli ad un cane pulcioso, figlio di tante razze, di proprietà di un contadino. Non ho mai riservato però un racconto al cibo, anche se ricorre nei miei scritti”. “Un Nobel in famiglia”a che ricetta lo legherebbe, e perché? “Forse lo legherei ad una buona e genuina pasta e fagioli, simbolo di calore e semplicità domestica, da mettere in contrapposizione ad una cena vegetariana, triste e restrittiva come una dieta dimagrante”.
Per concludere ci potrebbe regalare una sua ricetta? Quella che le riesce meglio? “Dato che ho citato in precedenza i draniki di patate procedo con la ricetta facile, facile. DRANIKI di patate Grattugiare a mano alcune patate crude eliminando l’acqua che si deposita. Ogni 5 patate due cucchiai di farina, due uova , sale q.b. e burro fuso fino a comporre un composto per frittelle da cuocere in abbondante olio d’oliva. Depositare su carta scottex per eliminare l’unto in eccesso. Servire calde accompagnate da smetana. Cos’è? Il segreto di tutto: panna acida tipico condimento russo che si può riprodurre con yogurt bianco, panna liquida e gocce di limone”.
Quale complimento le piace di più come cuoco? “Semplice, ma gustoso”. E come scrittore? “Idem, come sopra”.
Che frase tratta dalla sua opera o dalla sua esperienza di scrittore possiamo portarci nel cuore uscendo dalla sua cucina? “Un racconto è come la preparazione di un pranzo: deve avere un buon preludio (antipasto) che dispone al primo piatto senza saziare, lasciando spazio al secondo che non può non essere accompagnato da un gradevole contorno. Il tutto si deve concludere con una dolce sorpresa finale che lascia un buon ricordo”. Grazie per la sua disponibilità “Grazie a lei”.