Lasciammo il 17 gennaio alle nove di sera la casa della madre di Juan a Buenos Aires, e il 20 gennaio alle 5 del mattino siamo arrivati nella capitale di Malaysia, Kuala Lumpur. Il viaggio e' stato lunghissimo, ore e ore di volo, cambi e conincidenze, check in, dogane e controllo bagagli, abbiamo dormito pochissimo e scomodi, dopo il terzo pasto offertomi nell'aereo ho smesso di mangiare. Abbiamo aspettato con stoica pazienza, giocando ad annoiarci quando eravamo troppo stanchi di leggere o tenerci impegnati.
L'aereoporto di Kuala Lumpur e' gigante e modernissimo, bianco e mimimale, con sofa' arancioni, internet gratis e una voce di signorina asiatica, dolcissima, che riempie il silenzio dell'aereoporto ancora addormentato, prendiamo il treno per andare nel cuore della citta', anch'esso super rapido, veloce, silenzioso e modernissimo. Dal finestrino vedo una fitta coltre di palme, alberi, sembra una verde foresta tropicale, e altissimisi e modernissimi grattacieli all'orizzonte. Ho gli occhi pesanti, ho fame, mi fanno male le braccia e le gambe e ho bisogno di una doccia, sono piu' di due giorni che viaggiamo. Arriviamo in centro, cercando il nostro hostel si apre una citta' molto povera e sporca, mentre grattacieli scintillanti, palazzi arabeggianti, e edicifi allo stile indiano, tutti modernissimi, sorgono prepotenti sulle case povere, la sporcizia e il brulicare delle sue genti.
Come ci aspettavamo la nostra camera sara' pronta alle 12 am e sono solo le 8 am, cosi' che il simpatico repectionista del Reggea Hostel, con due occhi da fumatore professionale, ci avvisa che oggi e' un giorno importante, a Batu Caves si svolge una delle piu' importanti celebrazioni religiose Hindu'. Lasciamo le valigie, e prendiamo un autobus vecchio e polveroso che ci lascera' a Batu Caves. La festa e' hindu, quindi i partecipanti sono di razza indiana, ai piedi di un monte verdeggiante si apre la fiera, migliaia di persone, musica ad alto volume, gente che spinge, donne in sari, uomini rasati con la testa tinta di arancione, cibi cotti al momento su braci fumose, visi dipinti, piedi scalzi, gente accampata, traffico bloccato da rumorosi autobus, e pochi turisti occidentali disorientati. Ai piedi del monte la statua piu' grande del mondo (43 metri) dorata, che rappresenta la divita' Murga, apre il cammino al suo tempio. Due biscie giganti di persone, una che sale e una che scende su ripidissime gradinate che portano alla grotta della divinita'. Questa festivita' si chiama Thaipusam, i devoti alla divinita' Murga, ogni anno le portano dei doni, fino al suo altare nella grotta, le portano frutta e incenso, ma la cosa piu' spettacolare e' che alcuni devoti entrano in trance, e attraverso atti masochistici raggiungono l'estasi, cosi' che si incontrano con la divinita'. La scena e' piuttosto forte, alcuni cominciano il pellegrinaggio con "spiedini" piu' meno larghi che gli perforano da guancia a guancia, o con piccoli ganci a cui e' attaccato un peso infilzati nella carne, soprattutto sulla schiena, questi "flagellanti", ringraziano la divita' per quello che hanno ricevuto nell'anno passato, e fanno questo doloroso pellegrinaggio con il corpo trafitto da lunghi ganci o aghi piu' o meno sottili. Io e Juan ci siamo fatti fagocitare dalla biscia di gente che sale lenta, colorata e delirante verso la grotta, passiamo ai piedi dell' imponente statua, la gente spinge, canta, grida, il caldo e' asfisiante, colori tanti colori, mentre la statua di Murga, totalmente dorata con i raggi di sole che sottolineano la sua grandiosita', grida la sua forza. Juan entusiasto non smette di fare foto, vedo che alcune donne cantano attorno a un bambino che si muove danzando invasato, avra' non piu' di 5 anni, vedo che ha 3 piccoli ganci infilzati nella schiena, a cui e' attaccata una piccola biglia, sono so perche' ho voglia di piangere. In quel momento siamo quasi ai piedi del morro, la gente spinge, c'e' un momento di congestione, sento gocce di sudore che mi scendono sulla schiena e sul viso, sono due giorni che non dormo e mi e' arrivato il ciclo da poche ore, una donna con la bocca piena di sangue si avvicina giusto accanto a me e lancia un grido acuto, la folla si accalca, rivedo il bambino e ho voglia di piangere. Fu un momento. Dopo pochi secondi, passato il momento di congestione e di calca, cominciamo a salire la grande scalinata, dai gradini piccoli e ripidi, insieme ai flagellanti e gente che che porta doni. Arrivati in cima, vediamo due grandi altari nella grotta altissima e grandissima, i flagellanti sotto l'altare raggiungono lo stato di maggior estasi per poi, una volta esausti, lasciarsi sfilare gli arnesi di dolore dal loro corpo. Petali di fiori, canti, odore di umido della caverna. Mentre i flagellanti terminano il loro pellegrinaggio, approfittando dell'ombra e del fresco, io mi compro una coca cola sotto consiglio di Juan che mi vede palliduccia, la bevanda americana non troppo fredda, mi ristora con i suoi zuccheri e le bollicine, mentre migliaia di persone dalle vesti colorate e i piedi nudi, mi scorre davanti.
La gente ci porta verso un'altra gradinata, molto piu' corta, che si apre a uno spiazzale, alzo gli occhi perche' e' a cielo aperto, un altro altare nel centro, il grigio della roccia, il verde di piante e l'azzurro intenso del piccolo tassello di cielo, il fresco della grotta, io piu' in forze, e migliaia di scimmie! Scimmie ovunque, che gridano, litigano, rubano frutta dall'altare, altri canti, incenso, invasati, noci di cocce infuocate e poi gettate con forza per terra. Rimaniamo stupefatti.
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