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Cosa dire: quando si precipita in questo gorgo, quello degli scaffali da prezzo della Gdo, al peggio non c’è mai fine. Ed è ciò che capita anche in Trentino, quando varietà fortemente caratterizzate vengono trattate come utility commerciali da macelleria. E’ già accaduto, e continua ad accadere, con le uve Müller, spumantizzate e anche no. Il rischio, ora, è che le medesime scelte siano applicate anche ad un’altra varietà, questa volta internazionale e di pregio: lo Chardonnay coltivato in gran quantità nel fondovalle trentino, uve di fiume giudicate generalmente poco adatte alla spumantizzazione classica e quindi, oggi, destinate a fare una brutta fine sul mercato nazionale e internazionale. Qualcuno sta già pensando di impiegare questo Chardonnay di valle per la produzione di bottiglie Charmat. Qualcuno, anzi, lo sta già facendo.
Trovo che l’idea in sè, almeno in astratto, non sia del tutto peregrina: immaginare per questa enorme quantità di uve una destinazione spumantistica in acciaio, può essere una soluzione alla sovrapproduzione e una via d’uscita agli errori delle politiche di impianto degli anni passati; lo Charmat lungo, il modello di elaborazione Cavazzani, possono dare ottimi risultati, possono costituire un’alternativa dignitosa al totem prosecchista. Ma attenzione, è un percorso delicato e denso di pericoli. Facilmente permeabile alle scorciatoie, quelle che sono già state percorse disinvoltamente e tragicamente con il Müller. La tentazione di gettare uve all’ammasso nel circuito low cost a scapito della qualità, è dietro l’angolo. Un’eventualità che per simmetria e per proprietà transitiva potrebbe riverberare effetti nefasti e devastanti anche sull’immagine della spumantistica classica trentodocchista. Quindi, attenzione-attenzione.