eccomi qua!
sgrendinata ma felice, a racontarvi le prime impressioni.
sono arrivata a tokyo narita alle otto di mattina (a mezzanotte oradilucca) e da lì ho preso due treni per arrivare quassù, a onahama, in mezzo al nulla ma davanti al mare. è molto bello.
vi copio quello che ho scritto lungo la strada, quattro ore di viaggio che mi hanno portato da una megalopoli perfettamente bilingue a un paesino dove neanche in hotel capiscono una parola di inglese.
in giappone ci sono i giapponesi vestiti normali, non hanno la macchina fotografica al collo né la divisa da cuoco.
ci sono giapponesi meccanici, poliziotti, infermiere, tutti giapponesi come i nostri ma solo normali.
e i treni sfrecciano e il sole scalda e la periferia di tokyo sembra un po’ germania e un po’ ammerega.
poi panni stesi, a ogni casa, a ogni balcone, strade minuscole, gambe storte e scarpe troppo grandi.
il treno per izumi è al binario, stanno pulendo e girando i sedili nell’altro senso di marcia.
per strada, andando da una stazione all’altra, siamo state tentate di lasciare le valigie in un angolo e di salire le scale di parchi, cimiteri, templi, di cui si intuiva la presenza per lo spuntare di una statua o di una colonna di pietra.
le maschere sui visi non mi piacciono, vivo con fastidio accanto a qualcuno che voglia mettere un filtro fra sé e gli altri, nella sala d’aspetto ce ne erano molte, troppe per i miei gusti.
istintivamente parlo tedesco coi signori della biglietteria del treno, nel mio cervello si compie l’equazione “non capisco, allora sono in germania”
vedo sfrecciare ai lati dei binari i pomeriggi della mia infanzia, la nutella, sampei e l’insegna di marrabbio.
l’albergo è sul mare, il mare si chiama pacifico e in questo momento lo è.
tutto è rotondo, su questo mare, anche la scogliera, anche la linea di riva, anche il piccolo isolotto di fronte alla spiaggia.
sono in un bel posto, bello da respirare e da guardare.
a presto.