In giro per l’Italia: i vini di Romagna

Creato il 27 aprile 2014 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr

Foto e testo di Franca Poli

Facendo anticamera dal medico come mi è successo di frequente negli ultimi tempi, mi è capitato sotto gli occhi in sala d’aspetto una delle pagine del mensile La Piazza di Romagna del mese di febbraio, un periodico locale, in cui ho trovato un interessante articolo che parlava di vini. Un argomento che, chi mi conosce, sa quanto mi appassioni da sempre. Unendo le mie conoscenze a quanto appreso, ho scritto questo pezzo da proporre alla vostra attenzione:

"Un po’ di storia,un po’ di curiosità, un po’ di fantasia sui vini di Romagna"

E’ impossibile parlare di buona tavola senza parlare anche di vino. Un binomio che va a braccetto, perché il vino è da sempre una componente fondamentale della nostra cucina e della cucina di tutti i popoli del Mediterraneo fin dai tempi più antichi. “Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere” diceva Charles Baudelaire. Già perché il vino è capace di scoprire il vero pensiero degli uomini e far rivelare la verità: “in vino veritas” e gli uomini lo sapevano fin dai tempi degli antichi romani.

Il primo dei vini romagnoli è indubbiamente il Sangiovese, il più antico come coltivazione e produzione delle nostre terre. Si ritiene addirittura che la celebre uva nera da cui si ricava fosse già conosciuta più di 2000 anni fa e utilizzata dagli Etruschi in Toscana dove lo stesso vino diventò poi “Brunello” o “Sangioveto” a seconda delle zone. L’origine del nome Sangiovese è contraddittoria: c’è chi vuole provenga da “san giovannina” che indica un’uva primaticcia, dato il suo precoce germogliamento che avviene già intorno a fine giugno, per San Giovanni appunto, e chi invece propende per l’origine più antica che lo vuole così denominato fin dagli antichi romani, che abbinavano il suo nome al colore rosso intenso del sangue di Giove “sanguis Jovis”. Una volta fatto re il sangiovese, la regina dei vini romagnoli è sicuramente l’albana. Primo vino bianco italiano a cui fu conferita nel 1987 la denominazione d’origine controllata garantita (DOCG), ha anch’essa origini antichissime. Citata fin dai tempi di Marco Terenzio (116-27 a.C.) nel suo “De re rustica", si dice che fu qui trapiantata dai colli albani e il nome deriverebbe appunto dal latino “albus” cioè bianco. La storia di questo vino, come tutta la terra romagnola, è strettamente legata agli antichi romani. La leggenda racconta che la famosa imperatrice Galla Placidia, assaggiasse l’albana durante una cavalcata sulle colline intorno a Ravenna, dove aveva la sua residenza. Il vino le era stato offerto in un rozzo boccale di terracotta e, dopo averlo gustato e trovato degno del palato di una regina, pare avesse esclamato “Non così umilmente ti si dovrebbe bere, bensì, berti in oro ” Da qui la fantasia dei produttori di vino romagnoli, che attribuisce a questo episodio, il nome della località di “Bertinoro”, famosa per i suoi vitigni e zona di elezione per la produzione dell’albana. Esiste un altro famoso vino proveniente dalle colline di Bertinoro, dal nome meno aulico dell’albana, ma più originale, è il “Pagadebit”, che in dialetto romagnolo significa che “fa pagare i debiti”. Questa denominazione è dovuta alla particolare caratteristica di resistenza a tutte le condizioni climatiche di questo vitigno che consentiva ai contadini di produrre vino anche nelle annate peggiori e di pagare così i debiti contratti.

Terra di buontemponi e di buonumore la Romagna e non so se questo sia da addebitare anche alla vasta produzione di vini. In queste zone da sempre viene preservata e incentivata la coltivazione di vari vitigni anche meno conosciuti che danno ottimi vini come il “Rambela” o il “Burson”, dal soprannome del suo scopritore (tira burson in dialetto significa cavatappi). Quest’ultimo vino, in occasione di una competizione nazionale per esperti del settore, tenutasi nel novembre scorso, ha sbaragliato nomi eccellenti come aglianico, primitivo, amarone e barbaresco. Alla faccia!

Dopo aver trattato origini latine,essere passata attraverso il dialetto locale, arrivo alle derivazioni straniere e non posso non ricordare un simpatico aneddoto legato a un soldato francese esperto conoscitore di vini che, arrivato in Romagna e assaggiato un ottimo bianco esclamò: “Très bien!” da qui il “Trebbiano” un altro fiore all’occhiello dei viticoltori romagnoli. Forse non tutti sanno che dal trebbiano un tale Jean Bouton, italianizzato Buton, ricavò il brandy più antico d’Italia, la Vecchia Romagna, che ottenne il Grand Prix con medaglia d’Oro all’esposizione universale di Parigi nel 1889. In realtà, leggende a parte, la vera origine del vino trebbiano DOC, dal caratteristico colore giallo paglierino, profumato e frizzante, di sapore asciutto e deciso, viene fatta risalire agli Etruschi e il nome deriva da Trebula città dell’Italia centrale e dal latino “trebulanus”. E’ tuttora un vino molto richiesto per esportazione, che non necessita di invecchiamento e si accompagna bene con molti piatti, soprattutto a base di pesce. Oggi è in gran voga per gli “happy hours” in quanto ottimo come aperitivo. Questo è un esempio di come cambi la moderna tendenza di valorizzazione del vino, mentre per gli antichi acquisiva un valore addirittura mistico. Le proprietà inebrianti lo connotavano in un’aura magica,religiosa addirittura, al punto da associare questa sublime bevanda al dio Dioniso. Il vino era un tramite dunque capace di mettere in contatto l’umano con l’aldilà, con il soprannaturale, un nettare che rendeva simili agli dei, offrendo l’illusione di eternità.

L’abitudine di bere vino è vecchia come il mondo. Fin dal libro della Genesi, si fa riferimento al vino,quando Mosè, terminato il diluvio e approdato finalmente a terra, pianta la vite e si ubriaca col suo vino. Le origini antichissime e il valore attribuito da sempre dagli uomini a questa bevanda vengono ritrovate fin dai documenti storici più antichi, citato ben 450 volte nella Bibbia, lo troviamo anche nel codice di Hammurabi dove erano previste pene severissime per chi adulterava il vino. Nei pressi di Ravenna, negli scavi archeologici del porto romano di Classe, sono emerse molte anfore vinarie in terracotta usate per la conservazione prima che i Galli ci facessero conoscere le classiche botti a doghe usate ancora oggi.

In conclusione pare innegabile l’importanza culturale del vino nella nostra terra di Romagna, di conseguenza ora capirete meglio quanto io, amante della storia, delle tradizioni e delle leggende e delle usanze della mia terra, sia affascinata da questo genuino prodotto dei nostri tralci, dunque non mi resta che alzare il calice e dirvi: "Prosit!”

Franca Poli


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