Dopo il breve excursus dedicato al riassetto del potere in ambito internazionale, torniamo a dedicarci allo stivale. Il panorama dell’elettorato italiano era cambiato dal 1948 al 1983. Gli analfabeti erano ora una minoranza, gli operai erano sulla via di diventarlo.
Chi aveva investito nel trentennio del boom (1950–1980) aveva messo tanti soldi da parte. Non molta gente, in verita’, poiche’ le prime ad abbeverarsi al fiume di denaro che scorreva furono le aziende statali e compartecipate dallo stato. Un buon mezzo milione di imprenditori e professionisti onesti riusci’ in quegli anni a mettere una seria ipoteca sull’avvenire dei suoi figli. Un gruppo piu’ ristretto di individui, qualche migliaio di ‘pezzi grossi, aveva gia’ partecipato al gioco negli anni del pentapattuito ed approfittato della collusione col sistema della Trimurti per arricchirsi oltre la soglia della decenza. Questa elite economica trasversale, dalla dubbia tempra morale, sarebbe divenuta nel decennio successivo l’interprete piu’ calzante per il nuovo format della politica italiana.
Per quasi quarant’anni tutto era filato liscio oltre ogni piu’ ottimistica previsione. La formula era semplice: la Trimurti controllava il pentapartito ed il pentapartito controllava il Paese. I movimenti del’68 avevano prodotto tanto fumo e nessun arrosto. A conti fatti, per il Partito Comunista, si rivelarono controproducenti. La deriva a sinistra aveva coinvolto solo una ristretta cerchia di intellettuali moderati mentre taluni intellettuali di sinistra avevano percorso la corsia opposta. Si incontrarono a meta’ strada in un luogo ameno che avrebbe assunto mille nomi nel futuro e che possiamo geometricamente definire centro-sinistra. Passata l’iniziale sfuriata giovanile, il pueblo si rieduco’ docilmente alla moderazione e torno’ ad affollare il centro. Non era accaduto nulla di trascendentale, il sistema non aveva subito traumi. Delle conseguenze del ’68 ci occuperemo piu’ dettagliatamente in seguito quando tratteremo il falso bipolarismo dell’era mussoloniana.
Verso la fine degli anni ’70, Stati Uniti, mafie e Vaticano si accorsero che era necessario riscrivere la favola della destra e della sinistra per renderla credibile ad un pueblo elettorale che aveva cambiato volto facendosi turbolento oltre il sostenibile. Urgevano aggiornamenti. Non c’e’ alcun dubbio che del progetto si occuparono principalmente gli analisti americani e vaticani. Sull’asse orizzontale, l’opzione ideologica-antropologica ‘comunisti vs anti-comunisti’ fu scalzata (o per meglio dire arricchita) da quella economica che opponeva l’assistenzialismo del “piu’ stato e piu’ tasse” a sinistra ed il liberismo del “meno stato e meno tasse” a destra. Questa versione evoluta della favola permise alla gente comune di far propria una nuova terminologia nelle discussioni al circolino. Conservatori e progressisti erano i nuovi antagonisti. Ai richiami ideologici internazionali si aggiungeva ora preponderante un dibattito pratico sul vil denaro. L’attenzione malferma del pueblo si concentro’ sulla condizione economica degli individui. I ricchi a destra ed i poveri a sinistra. Quello che ai piu’ parve un progresso nella definizione delle parti provoco’, alla prova dei fatti, l’esplosione del materialismo nelle scelte individuali e del razzismo sociale nelle relazioni interpersonali.
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