In libreria “Nel nome della cocaina. La droga di Perugia raccontata dagli spacciatori” di Vanna Ugolini

Creato il 25 febbraio 2012 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria

Prefazioni di Wladimiro Boccali, sindaco di Perugia e Dante Ciliani, presidente dell’Ordine dei giornalisti. Il libro è l’ideale proseguimento del video-documentario “ Zbun.Cliente”, inchiesta sullo spaccio a Perugia, da un’idea del Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori di polizia), scritto e girato dall’autrice per la regia di Pasquale Rossi, nella primavera del 2011.

Intervista a Vanna Ugolini

Come è nata l’idea del libro?

Il libro è l’ideale proseguimento del video-documentario “Zbun.Cliente”, che, a sua volta, è nato da un’idea della segreteria provinciale del Siulp, un sindacato di polizia. Si voleva creare uno strumento fruibile che desse una visione più completa dello spaccio a Perugia, ma, anche di quello che c’è dietro le quinte di questo fenomeno che da troppi anni sta contribuendo al degrado di Perugia. Il progetto è stato affidato a me e l’idea che fa da perno al documentario è quella di far parlare, per la prima volta, i pusher, gli spacciatori di strada e far raccontare la loro verità su questo problema. Il libro contiene, in più, le interviste integrali dei pusher e approfondisce l’argomento, con materiale d’archivio, dati, analisi.

Vanna Ugolini

Che quadro di Perugia viene fuori?

Viene fuori l’immagine di una città che, ormai, fa parte delle rotte del grande traffico di sostanze stupefacenti, profondamente ferita dal dramma delle morti per overdose: il capitolo che riguarda i morti per droga è stato continuamente aggiornato fino a poche ore prima della chiusura del libro. A dicembre 2011 c’è stata una vera e propria strage, con 8 vittime. I dati non ci sono ancora ma è molto probabile che, anche quest’anno, Perugia detenga il record dei morti per overdose rispetto alla popolazione residente a livello nazionale. Viene fuori anche l’immagine di una città divisa, che, ancora, non è riuscita a dare una risposta efficace in termini di prevenzione e di ricucitura del tessuto sociale.

Il libro spiega il perché di tanti morti per overdose proprio qui?

Emergono con certezza almeno tre cause: la prima è che il mercato dello spaccio è molto liquido, non c’è una struttura organizzata vera e propria ma una rete instabile di spacciatori. Nelle ultime perquisizione la polizia non ha trovato nemmeno più i bilancini di precisione che servono per tagliare la droga. Questo comporta che anche la droga che arriva sul mercato abbia un grado di purezza sempre diverso, facilitando, così la possibilità di andare in overdose. Inoltre il Sert ha segnalato ormai da tempo il fenomeno delle poliassunzioni: cioè si usano sempre più spesso mix di droghe diverse fra loro o in combinazione con alcolici e psicofarmaci. Anche questo contribuisce a facilitare le overdose. Una presenza massiccia e ramificata di spacciatori che ha fatto del centro storico di Perugia una sorta di supermercato a cielo aperto rende molto facile l’acquisto, la massiccia concorrenza fa sì che i prezzi siano più bassi che da altre parti e che gli spacciatori, sempre alla ricerca di nuovi clienti, offrano “prodotti” diversi e nuovi.

Il libro spiega perché Perugia è diventata una tappa così importante nella mappa del traffico di droga?

Il libro è una sorta di viaggio nel mondo dello spaccio e ogni tappa di questo viaggio porta elementi che possono spiegare perché tutto questo accada proprio a Perugia. Ci sono forse due elementi hanno aperto la strada ai problemi che ancora oggi rimangono irrisolti: una benessere diffuso e la mancanza di una criminalità locale che facesse da barriera all’ingresso alle nuove mafie. A questo si può aggiungere la presenza di 30mila studenti universitari. Un altro elemento che caratterizza la situazione di Perugia è l’alto numero di persone irregolari presenti che forse qui, più che altrove, sono riuscite a mimetizzarsi tra i tanti stranieri che scelgono l’Umbria per studiare o per turismo. L’Umbria, poi, è una regione governata da sempre dalla sinistra e fino a qualche tempo fa la cultura delle sicurezza era un concetto che apparteneva più alla destra. Forse, in questo senso, c’è stata anche una sottovalutazione del fenomeno. Nel libro ipotizzo anche il fatto che il tessuto urbanistico particolare abbia potuto favorire l’inserimento degli spacciatori: da un lato un centro storico fatto di vicoli e viuzze e frequentato per lo più da studenti e turisti, dall’altro una certa parte di periferia con quartieri-dormitorio. In parte, poi, sono gli stessi spacciatori ad indicare le cause: stanno qui perché, tutto sommato, riescono a trovare il modo di sopravvivere. Uno di loro dice che qui le condanne sono più miti, che trovano facilmente una casa, pur pagando affitti molto alti e in nero. Purtroppo questo fenomeno è stato sempre sottovalutato a Perugia: per molti anni è stato tollerato che venissero affittate in nero le case agli studenti . Ma quando si apre una falla nel muro di legalità, questa falla rischia di allargarsi sempre di più e di diventare un percorso consolidato per altra illegalità. Ci sono poi tutta una serie di aspetti sociali che ho raccolto da ricerche fatte recentemente dall’Agenzia Umbria ricerche e altri spunti di riflessione in termini di politiche di prevenzione di sicurezza. E non va trascurato nemmeno l’indotto economico che lo spaccio di droga procura.

Dal punto di vista della repressione è stato fatto abbastanza per arginare questo fenomeno?

I numeri degli arresti e delle operazioni portate a termine dalle forze dell’ordine sono importanti. Basti pensare che negli ultimi anni sono stati arrestati per reati connessi allo spaccio o al traffico di droga più di 600 persone l’anno dalle forze dell’ordine. E’ vero che il ministero non ha mai considerato realmente l’emergenza Perugia e che, spesso, le forze dell’ordine sono costrette a fare la guerra allo spaccio con armi spuntate.

Lei in precedenza ha scritto un altro libro, “Tania e le altre. Storia di una schiava bambina” che parla della tratta di essere viventi e sfruttamento della prostituzione. C’è qualche punto in contatto fra i due libri?

Sì, certamente. Gli investigatori ipotizzano che proprio il denaro che gli albanesi hanno guadagnato con lo sfruttamento della prostituzione sia stato poi investito in droga. A volte le stesse donne sono state usate come “mezzi di trasporto” della droga e sono loro stesse a offrirla ai clienti. In fondo è lo stesso meccanismo che si è creato con la tolleranza degli affitti in nero: quando si abbassa il livello della legalità, si lascia aperta la porta alla criminalità.

La mafia italiana in che rapporti sta con la criminalità straniera che sembra abbia in mano lo spaccio e il traffico della droga a Perugia?

Come cronista non posso che parlare in base alle indagini fatte fino a oggi. Quello della mafia, in Umbria, sembra essere più un assedio al tessuto economico umbro che al mercato della droga. Certo, una parte degli spacciatori si rifornisce direttamente nel napoletano, quindi compra da famiglie mafiose italiane e qualche tentativo di creazione di basi in Umbria da parte di malavitosi legati a famiglie mafiose c’è stato. Ma ormai da quindici-vent’anni la parte più consistente del mercato dello spaccio, sempre stando alle indagini messe a segno, è in mano ad albanesi e nigeriani, che, a loro volta, si servono dei pusher magrebini per la vendita diretta ai clienti. Dopo un periodo, a metà degli anni ’90, in cui c’era stata una sorta di guerra fra bande per la spartizione del mercato, da tempo le due etnie si sono divise equamente il mercato tra chi spaccia cocaina e chi spaccia eroina. Una sorta di patto criminale confermato anche dalle parole dei pusher oltre che dai risultati investigativi.

Come è riuscita a contattare i pusher che ha intervistato e cosa è emerso di particolare?

Le persone che ho sentito sono tutti i giorni sotto gli occhi di tutti. Ho usato qualche precauzione per non trovarmi in difficoltà ma non è stato difficile contattarli. Dalle loro parole è emerso che in Italia, in questa situazione e con queste leggi la condizione di clandestino è per sempre. Dall’Italia non se ne va, ma non viene nemmeno regolarizzato. Un clandestino è utile alle aziende che lo sfruttano con il lavoro nero e alla criminalità che lo arruola. E anche ai partiti che ne possono fare un vessillo da sbandierare nelle battaglie per l’integrazione o, al contrario, in quelle per la sicurezza nella città. C’è tanta ipocrisia intorno a questo problema che, invece, andrebbe affrontato con lucidità e rispetto della condizione difficile da cui queste persone provengono.

Nel libro si parla anche dei clienti.

Certo, anche per quanto riguarda questo argomento emerge molta ipocrisia: molti di coloro che di giorno sono in prima fila a protestare contro il degrado di Perugia, l’inefficienza delle forze dell’ordine o delle istituzioni la sera vanno ad acquistare la droga dagli spacciatori o fanno affari con loro. Dalle parole dei pusher emerge anche un dato di fatto: una diffusione massiccia del consumo di sostanze stupefacenti che viene considerata una condizione di normalità per moltissime persone di tutte le classi sociali e di tutte le età. E’ da questo che dovrebbe partire una riflessione seria sul problema.



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